Medicina e cure palliative:
un conflitto fra paradigmi inconciliabili?

UMBERTO CURI

Storia della Filosofia, Università di Padova; Università “Vita e salute” San Raffaele, Milano.

Pervenuto e accettato il 3 settembre 2019.

Riassunto. La medicina tradizionale e le cure palliative vengono solitamente viste come due tipi di medicina fondati su paradigmi diversi e alternativi fra di loro. Un approfondimento del concetto di paradigma secondo la concezione di Thomas Kuhn consente di confrontare le visioni filosofiche generali che rispettivamente ispirano la medicina attuale e le cure palliative. In tale senso, la medicina tradizionale appare vivere un momento che non è definibile come normale e che invece ha le caratteristiche del momento straordinario per l’emergere di fattori critici che mettono in discussione il paradigma tradizionale. In particolare, il confronto sulle relative concezioni del limite nella medicina tradizionale e nelle cure palliative permette di apprezzare le divergenze e le convergenze. Le cure palliative, che accettano il limite come orizzonte di azione, pur senza rifiutare il perseguimento di un continuo progresso nella conoscenza e nella tecnica, possono essere una via di uscita alla crisi della medicina tradizionale.

Parole chiave. Medicina, cure palliative, filosofia della medicina.

Medicine and palliative care: a conflict between incompatible paradigms?

Summary. Traditional medicine and palliative care are usually seen as two types of medicine based on different and alternative paradigms between them. A deepening of the concept of paradigm according to the conception of Thomas Kuhn allows to compare the general philosophical visions that respectively inspire current medicine and palliative care. In this sense, traditional medicine appears to live a moment that cannot be defined as normal and that instead has the characteristics of the extraordinary moment due to the emergence of critical factors that call into question the traditional paradigm. In particular, the comparison on the relative conceptions of the limit in traditional medicine and in palliative care allows us to appreciate the divergences and convergences. Palliative care, which accepts the limit as a horizon of action, even without refusing the pursuit of continuous progress in knowledge and technique, can be a way out of the crisis of traditional medicine.

Key words. Medicine, palliative care, philosophy medical.

È ormai diffuso e consolidato l’uso di distinguere la medicina tradizionale dalle cure palliative affermando che si tratti di paradigmi alternativi. Ma questa distinzione non sempre si accompagna alla necessaria precisazione di ciò che si intende con l’uso del termine paradigma. Un breve approfondimento di questo importante concetto potrà consentirci di comprendere più adeguatamente quale sia lo statuto epistemologico delle cure palliative e quali siano le differenze salienti rispetto alla medicina tradizionale.

Nella sua accezione tecnica specifica, il termine paradigma viene introdotto dallo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn in un libro intitolato “The structure of scientific revolutions”, originariamente pubblicato nel 19621. Paradigma è un termine che deriva dal greco “paradeigma” e letteralmente sta a indicare qualcosa che possa essere assunta come un modello, un esempio, un caso emblematico. Kuhn modifica leggermente il significato originario del termine paradigma e offre la seguente definizione: “col termine paradigma voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute le quali per un certo periodo forniscono un modello di problemi e di soluzioni accettabili per coloro che praticano un certo campo di ricerca”.

Ma si impone qui subito una precisazione fondamentale. A differenza di ciò che abitualmente si crede, nella concezione di Kuhn il paradigma non è semplicemente la teoria scientifica corrente, ma l’intera visione del mondo, alla quale la teoria rinvia, comprese tutte le implicazioni che ne derivano. Paradigma non è dunque soltanto un modello di ricerca scientifica, ma indica anche una visione filosofica generale, un modo di intendere finalità e scopi dell’indagine scientifica, starei per dire una mentalità, un approccio teorico-concettuale generale.

Ad esempio, il modo di concepire il limite è un ingrediente fondamentale per la definizione del paradigma. Raccomanderei di tenere ben presente questa precisazione: paradigma include un certo modo di concepire la scienza e il suo rapporto con la società. E include anche un certo modo specifico di concepire il limite.

Ma torniamo a Kunh. Sulla base della definizione generale di paradigma, lo storico della scienza americano distingue due fasi di sviluppo della scienza, la fase che egli definisce di scienza “normale”, e la fase “straordinaria” o rivoluzionaria. Si definisce fase normale quella nella quale i membri di una comunità scientifica lavorano all’interno di un paradigma che non viene messo in discussione, e cioè condividono un certo modo di concepire la ricerca scientifica.

Si chiama invece fase straordinaria quella nella quale emergono anomalie e irregolarità che non possono più essere spiegate restando all’interno del paradigma vigente.

Si apre allora una fase di ricerca “straordinaria”, nella quale si assiste ad una proliferazione di ipotesi diverse, fino a che poco alla volta non si impone un nuovo paradigma

Per tutto il periodo della scienza normale, il lavoro degli scienziati si limita alla soluzione di alcuni rompicapi, che tuttavia non mettono in discussione il paradigma, ma anzi indirettamente lo confermano. Mentre nella fase della scienza rivoluzionaria emergono teorie e ipotesi diverse che impongono di andare oltre la pura e semplice risoluzione di rompicapo.

Nel suo complesso, la storia della scienza è dunque una storia nella quale si avvicendano fasi di scienza normale e fasi di scienza straordinaria. Ne consegue che la storia della scienza non ha dunque un andamento lineare e cumulativo, non si sviluppa gradualmente senza cesure o interruzioni, ma si sviluppa piuttosto attraverso un’alternanza di fasi normali e di fasi straordinarie

Domandiamoci che cosa scaturisce se applichiamo lo schema proposto da Kuhn al campo della ricerca biomedica. A me pare che ne scaturiscano tre interrogativi di fondo.

Il primo: quale paradigma è alla base della medicina tradizionale? Su quali basi è fondato il paradigma della medicina ufficiale? In particolare, come è concepita la nozione di limite all’interno del paradigma tradizionale?

Un secondo interrogativo, conseguente allo schema proposto da Kuhn. Possiamo ritenere che la ricerca biomedica attuale stia vivendo una fase di scienza normale, nella quale il paradigma non è posto in discussione, o non si deve riconoscere piuttosto che stiamo attraversando una fase di scienza straordinaria, nella quale si assiste ad una proliferazione di teorie in conseguenza della crisi del paradigma dominante?

Terzo interrogativo: è possibile affermare che le cure palliative configurano un paradigma alternativo rispetto alla medicina tradizionale e quale configurazione ha questo paradigma? Quale ruolo gioca la nozione di limite così come esso viene inteso nelle cure palliative per configurare un paradigma alternativo?

Procedendo con ordine – mi scuso per lo schematismo – proviamo a rispondere a questi interrogativi, cominciando anzitutto col domandarci quale paradigma sia alla base della medicina tradizionale e quale concezione del limite sia ad essa sotteso.

Detto molto in sintesi: il paradigma della medicina tradizionale è ancora largamente influenzato dal mito della medicina come scienza esatta. Anche se la pratica medica fa emergere direi quotidianamente l’insostenibilità di una concezione della medicina come scienza esatta, anche se in maniera particolare l’esercizio della clinica starebbe a dimostrare l’impossibilità di considerare la medicina alla stregua delle scienze “dure”, l’idea dell’onnipotenza della medicina appare ancor oggi largamente dominante e difficile da sconfiggere. Tutto ciò si riflette anche nel modo in cui nella medicina tradizionale è concepito il tema che è alla base di questo convegno, e cioè il limite.

Si potrebbe affermare che prevale una concezione secondo la quale il limite è univocamente inteso come ostacolo, come un impedimento contingente, e non come un elemento costitutivo e ineliminabile della pratica medica. Secondo il paradigma della medicina tradizionale il limite funziona come un ostacolo, un ingombro, un aspetto interamente negativo che occorre in ogni caso superare. Anche se nella pratica concreta la medicina tradizionale si imbatte continuamente in limiti di ogni tipo, anche se essa deve riconoscere l’esistenza di una molteplicità di limiti diversi, la convinzione implicita, l’idea che è alla base della medicina tradizionale è la convinzione che sia possibile e concretamente raggiungibile il superamento di ogni limite. L’idea di fondo è che quei limiti che si incontrano sono ostacoli che presto o tardi verranno superati perché ciò a cui tende la medicina è un progresso illimitato immune da limiti. Se ancora qualche limite sussiste, nulla impedisce che in prospettiva esso possa e dunque debba essere superato.

Domina insomma una visione del limite come pura negatività, come provvisoria insufficienza, alla quale si dovrà in ogni caso porre rimedio. Parafrasando il motto latino, potremmo dire: “ignoramus” ma non “ignorabimus”: ciò che ancora attualmente non sappiamo è comunque destinato a lasciare il posto ad una immancabile e prossima conoscenza futura. Ciò che ancora ora sussiste come limite non sarà più tale domani, perché il progresso scientifico sarà in grado di superare i limiti attuali.

Un punto, in particolare, è da sottolineare. L’idea di un inarrestabile progresso lineare e quantitativo della ricerca e della pratica medica non è una caratteristica periferica o marginale, ma è aspetto caratterizzante e peculiare del paradigma dominante nella medicina ufficiale, secondo il quale la medicina è una scienza tendenzialmente assimilabile ad altre scienze, proiettata al superamento di ogni limite, tendente al sopravvento su ogni negatività.

Per venire al secondo interrogativo, possiamo domandarci in quale fase storica della ricerca biomedica ci troviamo? Riferendoci allo schema proposto da Kuhn, possiamo ritenere di vivere una fase di scienza normale, ovvero dobbiamo riconoscere che stanno sempre più spesso emergendo irregolarità e anomalie che mettono in crisi il paradigma dominante e che alludono all’aprirsi di una fase di scienza straordinaria? Si può insomma affermare che numerosi e importanti segnali, di vario genere, testimoniano che siamo in presenza di una fase di scienza straordinaria, caratterizzata dalla proliferazione di teorie in competizione fra loro?

Giungiamo così al terzo e più importante interrogativo. È lecito ipotizzare che dall’attuale crisi si possa uscire sostituendo il paradigma attuale - o almeno integrandolo – con il paradigma della medicina palliativa? La medicina palliativa può essere la risposta alle anomalie che stanno rendendo sempre meno attendibile il paradigma dominante?

Per affrontare adeguatamente questa problematica si può anzitutto osservare che il paradigma che è alla base delle cure palliative è nettamente diverso (anche se – come vedremo – non incompatibile), rispetto a quello prevalente nella medicina tradizionale. Nelle cure palliative il riferimento al limite non funziona come riconoscimento di una negatività che andrebbe superata, ma al contrario la consapevolezza del limite è quella che conferisce una specifica identità alle cure.

Il paradigma che è insito nelle cure palliative concepisce il limite come un punto di forza, anziché di debolezza. Il contatto pressoché quotidiano con il processo del morire, e la finalizzazione delle cure a rendere quanto più possibile in ogni senso indolore questo passaggio, fa sì che il limite agisca non come fattore di depotenziamento, ma come principio di individuazione caratterizzante delle cure palliative. Al paradigma della medicina insofferente del limite si contrappone così il paradigma di una cura che interiorizza il limite come aspetto peculiare ed elemento di forza. Ciò perché le cure palliative si confrontano continuamente col limite fra tutti più importante, vale a dire con la morte.

Per questa via, si può raggiungere una conclusione, certamente molto problematica e provvisoria, ma insieme anche coerente col percorso concettuale che è stato fin qui descritto. Si può cioè se non altro ipotizzare che le anomalie e le irregolarità che riguardano la medicina tradizionale, e che alludono ad una fase di crisi nella quale proliferano teorie in competizione, siano la conseguenza dell’indisponibilità ad accettare il limite. Mentre le cure palliative che proprio sul limite, sull’accettazione del limite, sul riconoscimento del limite, fondano la loro attendibilità possono essere una risposta alla crisi del paradigma tradizionale.

Esse possono in tendenza sostituire, o per lo meno integrare non marginalmente, il paradigma della scienza tradizionale, proprio attraverso la modificazione dell’approccio al problema del limite. Infatti, mentre da un lato le cure esprimono la tensione costante verso il miglioramento delle terapie e, più in generale, della nozione stessa di cura, dall’altro lato esse appaiono immuni dalla tentazione idolatrica della perfezione e dell’esattezza, insite in alcune manifestazioni della medicina tradizionale. Sia pure in termini problematici, da tutto ciò si delinea la possibilità di un superamento della crisi in atto nella ricerca e nella pratica biomedica, nel senso di un cambio di paradigma in grado di superare l’artificiosa contrapposizione fra modelli concorrenti.

Nota. Il testo riproduce la relazione pronunciata in occasione del XXVI Congresso nazionale SICP, Riccione 2018, senza cambiamenti o integrazioni.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Kuhn T. The structure of scientific revolutions. Chicago: University of Chicago Press, 1970. (Kuhn T. The Structure of Scientific Revolutions: 50th Anniversary Edition. University of Chicago Press; Anniversary edizione 2012).