Autodeterminazione nel contesto delle cure palliative: un’analisi psicologica tra pensiero individualistico
e prospettiva relazionale

ANDREA BOVERO, CHIARA LAMANNIS, IRENE DI GIROLAMO

SSD Psicologia Clinica, Dipartimento di Neuroscienze-Università di Torino, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Pervenuto il 29 agosto 2022. Accettato il 23 novembre 2022.

Riassunto. L’autodeterminazione rappresenta un elemento cruciale nel fine vita. Negli ultimi anni, nel contesto delle cure palliative, sono stati numerosi i contributi apportati a tale costrutto in ambito legislativo, clinico e di ricerca. L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di analizzare, da una prospettiva psicologica, il costrutto dell’autodeterminazione e i fattori ad essa correlati, all’interno di una cornice individualistica e relazionale. Supportare l’autodeterminazione del paziente in fase terminale implica sostenerne l’individualità e la dignità, attuando delle opportune strategie volte ad evitare la perdita di controllo e di autonomia. È necessario considerare l’autodeterminazione secondo una duplice prospettiva, individualistica e relazionale, poiché solo integrando entrambi gli orientamenti è possibile cogliere la complessità di tale costrutto.

Parole chiave. Autonomia, autodeterminazione, cure palliative, autonomia relazionale, dignità.

Self-determination in the palliative care context: a psychological analysis between individualistic thinking and relational perspective.

Summary. Self-determination represents a crucial element in the end of life. In the last years, in the context of palliative care, there have been numerous contributions made to this construct in legislative, clinical and research settings. The aim of the present paper has been to analyze self-determination and related factors from a psychological perspective, within an individualistic and relational framework. Supporting self-determination of the terminally ill patient implies defending his or her indivuality and dignity by implementing appropriate strategies to avoid loss of control and autonomy. It is necessary to consider self-determination from a dual perspective, individualistic and relational, to understand the complexity of the construct.

Key words. Autonomy, self-determination, palliative care, relational autonomy, dignity.

Introduzione

La società occidentale odierna attribuisce grande valore all’espressione dell’autonomia, ritenuta un innato bisogno psicologico1. Il filosofo Immanuel Kant è considerato il “padre” del concetto di autonomia, definita come la capacità umana di indipendenza associata all’abilità di compiere scelte libere e razionali2.

L’esercizio del proprio diritto all’autonomia si configura come processo di autodeterminazione, inteso come “atto con cui un uomo si determina secondo la propria legge in opposizione a determinismo, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere; è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”1. L’autodeterminazione si è evoluta dalle sue origini sociali come il diritto di un popolo di essere libero, indipendente e protetto dall’oppressione, alla sua applicazione nell’assistenza sanitaria attraverso leggi e principi bioetici.

In Italia, una tappa fondamentale nel processo di regolamentazione del diritto all’autodeterminazione è la Legge n. 219 del 20173, la quale all’art. 1 “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità, all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”. In letteratura sono state identificate quattro caratteristiche dell’autodeterminazione: (auto) valutazione personale, processo decisionale, attività e obiettivi o risultati1. La valutazione personale implica, in ambito sanitario, la capacità di esprimere le proprie preferenze relative al processo decisionale; quest’ultimo valorizza la volontà e i bisogni più intimi dell’individuo. Il terzo attributo racchiude le molteplici manifestazioni dell’autodeterminazione, in particolare l’emissione di direttive anticipate2. Infine, gli obiettivi si riferiscono ai desideri dei pazienti relativi alla cura e al trattamento. La necessità di prendere decisioni autonomamente rispecchia un’esigenza anche e soprattutto nella fase finale della vita, in cui i soggetti mostrano uno stato di particolare fragilità e vulnerabilità fisica ed emotiva4. L’esperienza di autonomia, pertanto, è fondamentale nelle cure palliative perché rappresenta l’opportunità per vivere pienamente la propria esistenza fino all’ultimo istante. Uno studio, infatti, ha mostrato che i pazienti terminali5 hanno espresso l’esigenza di agire in modo indipendente per soddisfare i propri bisogni, mantenere un certo controllo sulla propria vita e, quindi, conservare la propria identità. Pertanto, l’obiettivo di questo lavoro è di analizzare, da un punto di vista psicologico, l’autodeterminazione nel contesto delle cure palliative al fine di chiarirne il costrutto in un’ottica individualistica e relazionale.

Perdita dell’autonomia

L’autonomia intesa come la capacità di autodeterminazione comprende, oltre alla possibilità di prendere decisioni in modo indipendente, anche la capacità di controllo del proprio corpo e delle attività della vita quotidiana6. La perdita di controllo può accrescere la sensazione che una vita priva di autodeterminazione non sia più degna di essere vissuta7.

La percezione della propria dignità è legata al senso di autonomia; per comprendere tale relazione, tuttavia, risulta necessaria una distinzione: la dignità, in senso ontologico, si configura come un valore instrinseco che ogni persona possiede in virtù della sua condizione di essere umano e che, quindi, non può essere erosa dalle circostanze esterne; la dignità come costrutto dinamico, invece, rappresenta una costruzione soggettiva, condizionata da fattori sociali, psicologici e fisici6. Nel primo caso gli individui possono riuscire a mantenere una percezione positiva della loro dignità, anche in seguito alla perdita di autonomia, grazie ai loro valori personali e spirituali; nel secondo, la dignità percepita è condizionata dall’autonomia e, in assenza di quest’ultima, il desiderio di accelerare la propria morte rappresenta, per il paziente, l’unica opportunità di controllo e libertà7.

Il senso di controllo non dipende dalla misura in cui il modo di agire del paziente è compromesso dalla malattia, quanto piuttosto dalla percezione soggettiva di avere un ruolo nel processo decisionale, tale da mantenere la propria agency8.

Alcuni studi8 suggeriscono che la perdita di controllo può manifestarsi in tre ambiti: uno legato al deterioramento funzionale, cioè al declino delle varie funzioni fisiche, un altro relativo alla perdita di controllo interno o psicologico, ossia il controllo sulla propria vita, e infine il terzo, come perdita di valori che conduce alla perdita del significato esistenziale9. La perdita di controllo può innescare sintomi depressivi e condizionare il senso di dignità, quale costrutto caratterizzato dalla rappresentazione del Sé, del Sé dal punto di vista degli altri e dall’interazione dell’individuo con l’ambiente e il contesto sociale10.

Il modello della dignità sviluppato da Chochinov evidenzia che quest’ultima è influenzata da tre sotto-componenti: il livello di indipendenza, il sostegno sociale e il peso per gli altri.11 La prima descrive la capacità di evitare il bisogno di affidarsi agli altri; per alcuni accettare l’aiuto è indispensabile e non altera il senso di Sé, per altri, invece, rappresenta un vero e proprio attacco all’autodeterminazione. L’importanza del sostegno sociale si riflette nel paradigma olistico delle cure palliative, secondo il quale, un soggetto in fase terminale e le persone con cui intrattiene le relazioni più importanti sono considerati un’unità indivisibile. Conoscenza approfondita e interazione sono necessarie per promuovere l’autonomia del paziente12,13.

La dipendenza e la fragilità causate dalla malattia possono, inoltre, minare l’identità; i partecipanti a molte interviste, infatti, descrivono la perdita della loro autonomia, quindi della dignità, come una sensazione di disintegrazione del Sé7.

La sensazione di essere un peso per gli altri è definita come un costrutto multifattoriale che coinvolge la sfera fisica, psico-emotiva, sociale ed esistenziale del paziente, amplificandone il disagio e la sofferenza. La percezione di sentirsi un peso, perciò, è strettamente connessa ad una dimensione personale e sociale e, in molti pazienti, è associata ad una maggiore percezione di inutilità, impotenza e perdita del Sé14.

L’autodeterminazione, pertanto, rappresenta un costrutto multidimensionale: calpestare la dignità di un individuo, non riconoscendone l’identità, determina una negazione della sua individualità10.

Autonomia relazionale

Negli ultimi decenni la concezione individualistica dell’autonomia nelle cure palliative è stata messa in discussione15; questa sua comprensione limitata alla capacità di fare scelte individuali ignora l’importante ruolo che essa gioca nelle interazioni sociali16.

Il termine autonomia “relazionale” non rappresenta una singola teoria unificata, ma denota un raggruppamento di approcci teorici correlati che considerano l’autonomia personale in relazione alla rete di contesti sociali e culturali di cui gli individui fanno parte17.

La percezione del proprio Sé si realizza nel contesto delle interazioni che consente lo sviluppo di una forte capacità di autodeterminazione. Pertanto, non l’indipendenza, bensì l’interdipendenza rappresenta un aspetto centrale della nozione relazionale di autonomia, la quale presenta una natura paradossale: mentre la sua etimologia fa riferimento ad una visione più individualistica, le testimonianze dei pazienti terminali mostrano quanto sia difficile concepirla come uno stato privo della partecipazione degli altri.5 Nelle cure palliative, infatti, l’autodeterminazione è definita come un processo decisionale che include il sostegno e il supporto sociale, in cui un ruolo rilevante è rivestito dai familiari e dagli operatori sanitari1,18. Le persone sono, per definizione, esseri relazionali, le cui identità, interessi e dignità sono plasmati dalle connessioni con altri individui. Una prospettiva relazionale, quindi, si focalizza sulla possibilità che, con gli adeguati rapporti sociali, i soggetti con particolari fragilità, fisiche e mentali, possano ancora esercitare e mantenere un certo grado di autonomia e conservare la loro individualità17.

In accordo con tale visione, le cure palliative, offrendo ai malati una rete di assistenza stabile e alleviandone i dolori, contribuiscono a rafforzare l’autodeterminazione nella fase finale della vita3. In uno studio gli autori18 evidenziano che la combinazione delle capacità decisionali dei pazienti e il sostegno dei loro familiari e dell’équipe medica rafforza l’autodeterminazione dei soggetti. Gli operatori sanitari, pertanto, dovrebbero favorire un ambiente accogliente e di reciproca fiducia, garantendo, inoltre, una comunicazione autentica ed efficace. Quest’ultima, influenza la modalità con cui il paziente affronta la patologia e ne gestisce la fase terminale. La comunicazione inefficace da parte dell’operatore sanitario, infatti, rappresenta una delle principali barriere ad un’adeguata assistenza nel fine vita19.

La già citata legge del 2017 sancisce che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”, sottolineandone, perciò, l’importanza della relazione. L’équipe curante, quindi, dovrebbe supportare i pazienti, rendendoli partecipi delle scelte di cura, al fine di contribuire al loro senso di autodeterminazione che, sovente, è minacciato non solo dalla malattia, ma anche dalla percezione di dipendere dagli altri.

Per molti pazienti, il peggioramento delle loro condizioni cliniche segna una discontinuità dell’immagine di Sé tra la fase antecedente e quella successiva alla diagnosi di malattia, inducendoli a percepirsi come un peso per gli altri14,20. Nell’ottica Sartreana è lo sguardo dell’altro a rendere un soggetto vulnerabile, infatti, etichettare un individuo in base alla sua patologia contribuisce alla perdita dell’identità: “la pura vergogna non è una sensazione di essere questo o quell’oggetto colpevole, ma in generale, di essere un oggetto; cioè di riconoscermi in questo essere degradato, fisso e dipendente che io sono per l’Altro”6,21.

La visione di Sé non può essere separata da come la persona sente di essere vista o trattata da coloro che lo circondano. Uno studio22 riporta che, rispetto ai sintomi fisici, i fattori psicologici ed esistenziali influenzano maggiormente la percezione dei soggetti di essere un peso, gravando sulla loro autodeterminazione.

La fragilità fisica e la dipendenza non sempre determinano una perdita di autodeterminazione; eppure, in un’ottica intersoggettiva, l’autonomia può essere minacciata qualora i familiari o l’équipe sanitaria prendano decisioni per il paziente sebbene egli sia ancora in grado di scegliere per Sé.

Conclusioni

Nel contesto delle cure palliative, il supporto all’autodeterminazione è considerato un modo per migliorare la qualità di vita dei pazienti; rispettare l’autonomia del soggetto è essenziale per promuoverne il benessere. Diversi approcci psicoterapeutici si sono dimostrati efficaci nel sostenere l’autodeterminazione e la dignità del paziente: tra questi si annoverano la Dignity Therapy23 e gli interventi volti alla ricerca di senso e significato, come la Meaning Centered Psychotherapy4,24. In uno studio di Brown25, gli operatori sanitari sostengono che quando un paziente percepisce di essere un peso, allora questo è il momento di attuare strategie volte ad aumentarne l’indipendenza, attraverso cure compassionevoli ed empatiche, che considerino la persona nella sua globalità. Sarebbe comunque auspicabile preservare l’individualità del soggetto all’interno di una relazione, attenta e capace di cogliere i bisogni e le necessità del singolo.

La riflessione psicologica del presente lavoro evidenzia la necessità di esaminare il costrutto dell’autodeterminazione all’interno di una cornice non solo individualistica, ma anche relazionale. Queste due prospettive non sono in contrapposizione tra loro ma coesistono in una visione Sé-Altro inscindibile.

Pertanto, è necessario rispettare la libertà, l’autodeterminazione e la personalità del soggetto sofferente, ma questo può realizzarsi soltanto se immersi in una rete di relazioni premurose con gli altri che sostengono e supportano il paziente, salvaguardandone, nello stesso tempo, l’autonomia.

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