I luoghi e i tempi delle cure palliative pediatriche

Organizzare e offrire l’ideale per ciascun bambino e famiglia
nell’ottica della personalizzazione della cura

Lucia De Zen1, Raffaella Antonione2, Anna Domenella3, Barbara Franzelli1, Valentina Taucar1, Federico Pellegatta3

1Centro di riferimento regionale per la terapia del dolore e le cure palliative pediatriche del Friuli-Venezia Giulia, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste; 2Struttura Complessa Medicina Interna, Ospedale San Polo, Monfalcone, Gorizia; 3Casa Sollievo Bimbi, Associazione VIDAS, Milano

Pervenuto il 12 maggio 2022. Accettato il 13 maggio 2022.

Riassunto. Le cure palliative pediatriche mettono al centro della cura il bambino e la sua famiglia, modulando e organizzando l’assistenza a seconda dei bisogni che, all’aumentare dell’intensità assistenziale, diventano sempre più complessi (e a volte anche complicati). È fondamentale che il sistema sanitario e tutti gli attori che lo compongono, siano in grado di offrire la miglior risposta possibile per quel bambino e per quella famiglia, condividendone con essa desideri e aspettative. Ecco quindi che, a seconda della situazione, si debba e si possa privilegiare il domicilio oppure l’hospice o ancora la Terapia intensiva o il Pronto soccorso, come nella storia raccontata da Castagno in questo numero della rivista. Il setting di cura non è l’unico elemento variabile, il bambino per definizione è un soggetto in divenire, in crescita, in evoluzione e acquisita la maggiore età può realizzarsi il passaggio di cura dall’equipe pediatrica a quella dell’adulto mediante una stretta integrazione e una progressiva autonomia. Questa variabilità di setting e di équipe non deve inficiare la qualità dell’assistenza, che deve essere sempre garantita attraverso l’unicità di riferimento erogata dal palliativista, fondamentale non solo per il bambino e la famiglia ma anche per tutti gli operatori sanitari coinvolti nel percorso di cura. I racconti che seguono ci danno la possibilità di riflettere proprio sul ruolo di riferimento, di “facilitatore” che caratterizza l’equipe di cure palliative pediatriche.

Parole chiave. Cure palliative pediatriche, assistenza, testimonianza.

The places and times for pediatric palliative care.
Organize and offer the ideal for each child and family as to customize the care

Summary. Pediatric palliative care put the child and his family at the center of care, modulating and organizing the assistance according to needs which, as the intensity of care increases, becomes more complex (and sometimes even complicated). It is essential that the health system and all the players that make it up, are able to offer the best possible response for that child and that family, sharing whishes and expectations with them. Therefore, depending on the situation, it is necessary and possible to favor the home or the hospice or even the Intensive Care or the Emergency Department, as in the story reported by Castagno in this issue of the journal. The care setting is not the only variable element, the child himself is by definition a growing subject, evolving from infancy to childhood to adolescence and acquired the age of majority, needing to plane the transition of care from the pediatric team to that of the adult. This variability of setting and team must not affect the quality of assistance, which needs to be guaranteed through the uniqueness of reference provided by the palliativisti, fundamental not only for the child and the family but also for all health professionals involved in the path of care. The stories that follow give us the opportunity to reflect precisely on the role of reference, the “facilitator”, that characterizes the pediatric palliative care team.

Key words. Pediatric palliative care, assistance, testimony.

Le testimonianze

“Le mie parole preferite: qualità e agevolare”

Anna Domenella

Le domande che mi hanno accompagnato in questa avventura nel mondo delle cure palliative pediatriche sono state: cos’è la qualità di vita? E poi come si dà qualità alla vita di un minore inguaribile?

L’obiettivo principale delle cure palliative è certo quello di togliere la sofferenza e il dolore, quello fisico e quello esistenziale. Ma mi chiedevo come poter lavorare su un concetto relativo come quello della qualità di vita, che può cambiare da persona a persona; un concetto per cui la risposta non è certo una sola.

Prima di entrare in Casa Sollievo Bimbi pensavo che la cosa più impegnativa del lavorare con i bambini in questo contesto sarebbe stata vedere la morte di un figlio negli occhi e nel cuore di un genitore. Il tempo dell’assistere mi ha fatto cambiare idea, e ora penso che la più grande fatica sia vedere lo sguardo di un bambino o di un ragazzo angosciato, impaurito, agitato, irrequieto. Ho imparato a valutare, capire quando coinvolgere altre figure professionali, intervenire e a stare vicina.

Mi chiedono spesso se è doloroso vivere a contatto con la sofferenza e la morte di un bambino. Rispondo che io non vedo morte ma l’ultimo tempo della vita, tempo lungo o corto nel quale è doveroso e necessario lavorare sulla qualità della vita.

Lavoro in un’équipe riflessiva, un concetto che ho scoperto in Casa Sollievo Bimbi. Il sostegno e la condivisione sono di supporto e di sollievo per me. Ci sono turni che finiscono alle tre del pomeriggio ma che per quanto sono stati intensi ci fanno percepire che siano le tre di notte. Finire il turno dopo aver visto supportare con un pallone di AMBU un bambino di pochi mesi non è semplice. O anche solo sentire la storia di un ragazzo che scopre di avere un tumore e in sei mesi se ne va. La fatica è tanta se penso a quante cose bellissime avrebbe potuto dire un bambino, con la sua meraviglia o fantasia, o a quante emozioni o avventure non potrà provare un adolescente che non diventerà uomo. Sapere che una mia difficoltà non è solo mia e che la posso consegnare ai miei colleghi mi conforta.

Ammetto che c’è stato un periodo in cui mi dicevo che facevo un brutto lavoro. Intendevo dire che era pesante, per via delle responsabilità e per i dolori che si condividono con le famiglie. Poi ho deciso di cambiare vocabolario: non mi faceva bene dire così, e non era rispettoso e corretto nei confronti dei bambini, delle famiglie e dei miei colleghi. Ho iniziato a dire che facevo un lavoro impegnativo. Emotivamente impegnativo. Ma mai brutto. Impegnativo anche perché quando si fanno le cose con cura e interesse, non c’è superficialità o monotonia, allora il proprio impegno è più pieno e ricco, anche se le energie investite sono parecchie.

Il bambino ha delle necessità. Il bambino ha delle necessità che la famiglia, presa com’è da altri pensieri e dalla forte stanchezza, fa persino fatica a vedere. Perché sta cercando di “accogliere” o “accettare” o “solo” “comprendere” la situazione di malattia del figlio. Come possiamo subentrare per proporre momenti di condivisione esperienziale e di cura? Ho trovato lo spazio e il tempo per ragionare con la mia équipe su attività, progetti, regali o semplicemente giochi per i nostri bambini e ragazzi. Le domande sul senso del fare hanno iniziato a mescolarsi con quelle sull’agire. Quali sono le capacità, gli interessi, i talenti, le abilità di questo bambino? Come facciamo a fare in modo che questo bambino possa svolgere questa attività? Come possiamo renderla agevole? Come facciamo a far giocare un bimbo che non ha la capacità di governare i movimenti? Come coltiviamo i suoi interessi? Come diamo qualità al tempo? Facendo questo stiamo dando qualità e dignità alla sua vita?

Mi dicevo “intanto non facciamo mancare l’accoglienza”. La cura dell’ambiente ha la sua parte (non piccola per altro). È importante che ci siano gli addobbi per le feste. Ma c’è soprattutto la relazione. Anche una breve chiacchierata con il bambino e la famiglia crea un clima di accoglienza. Cerco sempre di parlare di ciò che piace, di ciò che crea distrazione e di ciò che dà sollievo. Tutto questo mentre lo aiuti a vestirsi, a lavarsi oppure assisti a una medicazione.

Cerco sempre di creare relazione anche quando il bambino non è cognitivamente capace di comunicare. In questi casi sto vicino e uso il tocco per trasmettere tranquillità e vicinanza. Già facendo questo ho la percezione di soddisfare dei bisogni e di migliorare la qualità della vita. Non è sempre facile però, soprattutto quando la famiglia non è compliante.

Un genitore è contento quando vede il proprio figlio ben curato, pulito, profumato e magari con i capelli tagliati. Piccole attenzioni funzionali per cambiare, alle volte, le giornate delle famiglie. Questo, a fianco alla relazione, contribuisce secondo me a valorizzare la bellezza fisica e dell’animo.

Il tempo delle cure palliative pediatriche è spesso lungo in quanto le prese in carico durano mesi o anni. L’équipe si dedica quindi a costruire progetti di cura, riabilitativi, educativi, ecc. A volte ci vorrebbe più personale per riuscire a fare tutto, perché il lavoro e i progetti sono tanti.

Ma il mio moto interiore a pensare a come migliorare la qualità di vita, mi ha portato a progettare alcune attività ed esperienze, perché in Casa Sollievo Bimbi c’è la possibilità di lavorare per la realizzazione dei desideri dei bambini e delle loro famiglie. Ad esempio quando E. di 12 anni ci ha detto che amava i serpenti, non è stato difficile fare in modo di far arrivare un pitone vero (che gli abbiamo per altro appoggiato sulle spalle). Oppure quando abbiamo visto che la piccola K. di 4 anni riusciva a fare piccoli movimenti in acqua anche se affetta da SMA, è stato naturale farle fare tutte quelle esperienze immersa nella vasca. O ancora quando abbiamo notato che R. di 2 anni nonostante la sua ipotonia riusciva a muovere le spalle per ballare, abbiamo ballato con lui ascoltando le sue canzoni preferite. Non è stato difficile nemmeno fare in modo che altri si trasformassero in soldati Stormtrooper, o cucinassero con un cuoco famoso, o festeggiassero il loro compleanno anche prima del tempo, o sentissero il rumore del mare con un ocean drum, o suonassero l’arpa, o semplicemente mettessero lo smalto alle unghie.

Ho dovuto ridimensionare, riadattare o alle volte abbandonare molti progetti che avevo nella testa perché il bambino o il ragazzo per cui le avevo pensate era andato incontro a un cambiamento delle condizioni. Ho accolto a fatica il fatto che in alcune situazioni abbiamo dovuto dare spazio, anche rapidamente, ad altro: non più alle esperienze dell’agire, ma a quelle dello stare, dell’esser presenti, vicini e in ascolto.

Le mie parole preferite sono: qualità e agevolare e sarei curiosa di sapere quali sono le vostre!

Per me l’équipe di Casa Sollievo Bimbi è meravigliosa perché è fatta da persone meravigliose che si muovono e decidono e guardano col cuore, che hanno a cuore ciò che fanno, e che mettono il cuore in tutto ciò che viene fatto. Ho la fortuna di lavorare in un’équipe che ascolta, che mi ascolta sia quando esprimo i miei dilemmi etici, sia quando propongo progetti ed esperienze.

“a casa è più meglio…
ma insieme lo è ancora di più”

Barbara Franzelli e Valentina Taucar

Terminalità… in trenta anni di servizio ne hai seguite molte, anche quando non si parlava di sedazione palliativa: malattie oncologiche, genetiche, degenerative e di tutte le età, talvolta anche giovani adulti. Sempre in reparto.

Da qualche anno con la nostra equipe offriamo la possibilità di andare a casa, ai malati e ai genitori che lo desiderano. “Lo hanno portato a casa… andiamo là”. E si esce.

Ce la farò? Avrò portato tutto ciò che mi servirà? Cosa faremo? Come faremo? Chi troveremo?

A casa è “più meglio”, lo sai e ne sei convinto… eppure è un altro mondo, un’altra cosa…

Non sei nella tua “comfort zone” fatta di monitor, colleghi, conoscenza quasi perfetta degli ambienti e della loro locazione, inizio e fine turno…qua ti senti impacciato anche solo nell’andare in bagno perché in fondo è comunque casa altrui.

Ti offrono caffè, pranzo, cena… vedi disegni, giochi, libri, dvd, foto… di solito ascolti quello che ti raccontano ma qui lo vedi, lo tocchi con mano ed è un pugno diretto allo stomaco…

Contano su di te e ti ringraziano perché ci sei ma non sanno quanto batte il tuo cuore mentre galleggi in tutto questo… non se la sentono di restare soli e ti chiedono di rimanere lì anche la notte… qui non c’è il cambio turno… ok… avvisi a casa e rimani, nel tuo angolino con la sensazione di invadere uno spazio privato, di stare nell’intimità altrui.

Stai con loro…con i genitori ed i fratelli o sorelle ma anche con i nonni, i parenti, gli insegnanti. Stai con i colleghi del territorio che non sono avvezzi a lavorare con i malati pediatrici ed esprimono un coinvolgimento emotivo e psicologico che devi supportare, ma anche dubbi sul piano tecnico, delle conoscenze e competenze, “non è facile passare dall’anziano al bambino”, ce lo ripetono sempre. Però con il tuo aiuto ci stanno, stanno con la famiglia. Farai la differenza ma in quel momento ne sei più o meno consapevole, te lo diranno dopo, a distanza di tempo.

Dopo…a mente fredda ti sembra di aver dato poco ma di aver ricevuto tantissimo ed è questo che ti aiuterà con la prossima famiglia perché la tua professionalità è un mosaico fatto da tantissime tessere: le tue conoscenze teoriche ma soprattutto tutto ciò che ogni famiglia ti ha insegnato e ti ha donato...

…e nel nostro lavoro è sempre questo che conta.

“Da bambino ad adulto
nel segno della continuità”

Raffaella Antonione

Una crisi convulsiva prolungata in corso di febbre elevata aveva indotto a chiamare il 112.

Diciotto anni. Eri adulto e quindi sei stato portato in ospedale e ricoverato in Medicina, dove ti abbiamo conosciuto: un adulto in un corpo di bambino (poco più di 30 kg) e una vita segnata da una grave ipossia connatale, con gravi complicanze fisiche e cognitive. Avevi già avuto necessità di tracheostomia, ventilazione assistita e gastrostomia. Gli accertamenti confermavano una grave, estesa polmonite bilaterale in insufficienza respiratoria cronica severa. L’EEG dimostrava uno stato di male. Eri francamente dispnoico, la tosse inefficace, gravemente sofferente per le convulsioni. La terapia non era sufficiente. La consulenza ci chiedeva supporto nel controllo dei sintomi.

Eravamo spaventati quando ti abbiamo incontrato perché spiazzati dalla gestione di sintomi difficili in un “bambino”, in difficoltà nella scelta e nel dosaggio dei farmaci, preoccupati per l’ambiente ospedaliero non abituato alla complessità e necessità di un nucleo familiare come il tuo (due fratellini più piccoli).

Mentre è stato facile supportare i colleghi nei rapporti con i tuoi genitori, cercare di “ricreare” un ambiente confortevole per te e la tua famiglia e intercedere per il pernottamento in ospedale dei tuoi fratellini con la Direzione sanitaria, eravamo in difficoltà sugli aspetti tecnici (gestione dello stato di male, dolore e dispnea severa) alla luce della tua età “biologica”.

Dopo la prima visita, abbiamo quindi subito contattato i colleghi palliativisti pediatri che ti seguivano da quando eri nato e conoscevano la tua storia, la tua vita e quella della tua famiglia, chiedendo supporto e aiuto. Il confronto clinico e programmatico è stato facile: ci univa l’abitudine al lavoro in équipe, ognuno con le proprie competenze e professionalità. Abbiamo condiviso l’approccio medico e assistenziale, definendo i rispettivi compiti. Ci hanno suggerito schemi terapeutici efficaci e guidati nella titolazione farmacologica, aiutato a gestire i tuoi device, adatti all’età pediatrica, e, per i quali, sia noi sia i colleghi ospedalieri non avevamo adeguata preparazione tecnica. La collaborazione con i colleghi palliativisti pediatri ha permesso di stabilizzarti, grazie anche a contatti da remoto. La reperibilità di alcuni farmaci pediatrici, soprattutto off-label, non è stata semplice in un reparto per adulti, ma alla fine è stato possibile impostare una terapia per il domicilio, perché era lì che i tuoi genitori volevano portarti, visto che non stavi rispondendo alla terapia. Mentre i colleghi organizzavano il tuo rientro, ripianificando cure e assistenza, il nostro lavoro è stato supportare l’èquipe dei sanitari ospedalieri nella scelta della sospensione della terapia antibiotica e nella dimissione in condizioni di terminalità. Crediamo fondamentale sia stato anche il passaggio di consegne congiunto tra noi, che avevamo vissuto con accessi quotidiani la tua degenza ospedaliera, i palliativisti pediatri che ti conoscevano più di tutti e il medico di medicina generale che ti avrebbe accolto a casa.

Abbiamo saputo che hai passato gli ultimi 5 giorni di vita nel tuo letto, sedato, tenendo per mano l’infermiera palliativista pediatrica e la tua mamma, mentre i tuoi fratellini dormivano nella stanza accanto a te.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.