Fine-vita in Pronto soccorso pediatrico: la storia di Luca

EMANUELE CASTAGNO

SC Pediatria d’Urgenza, Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.

Pervenuto il 27 aprile 2022. Accettato il 30 aprile 2022.

Riassunto. Luca è un bambino di 10 anni con grave encefalopatia ipossico-ischemia, tetraparesi spastica e cardiopatia complessa, che si presenta in Pronto soccorso per dispnea causata da scompenso cardiaco in corso di riacutizzazione respiratoria. La sua storia ci permette di riflettere su alcuni aspetti specifici delle cure palliative pediatriche nel setting dell’urgenza. In primo luogo, la necessità del personale del Pronto soccorso pediatrico di possedere alcune competenze di base per affrontare il fine-vita dal punto di vista bioetico, assistenziale, clinico e tecnico. In secondo luogo, è emerso il ruolo fondamentale degli specialisti in cure palliative pediatriche nella gestione del bambino e della sua famiglia e nel supporto all’equipe medico-infermieristica. Sebbene non quotidianamente, bambini come Luca, che necessitano di cure palliative o che sono giunti alla fine della propria vita dopo un lungo percorso di malattia, possono presentarsi in Pronto soccorso. La formazione e la collaborazione fra gli specialisti dell’emergenza-urgenza pediatrica e quelli in cure palliative pediatriche rappresentano la condizione necessaria per una gestione condivisa ottimale.

Parole chiave. Fine vita, bambini, cure palliative, Pronto soccorso.

End-of-life in the Pediatric Emergency Department: the story of Luca.

Summary. Luca is a 10-year-old child with severe hypoxic-ischemic encephalopathy, spastic quadriplegia and congenital heart disease. He has been admitted to the Emergency Department for dyspnoea due to heart failure and to infection of lower respiratory ways. The story of Luca allows us to reflect on some specific issues related to pediatric palliative care in the emergency setting. First, healthcare professionals working at the Pediatric Emergency Department need some basic skills to face end-of-life from a bioethical, clinical and technical point of view. Second, the central role of Pediatric Palliative Care specialists emerged in taking care of the child and his family and supporting the medical-nursing team. Though not frequently, children who need palliative care or who have reached the end of their lives after a long illness may access the Emergency Department. Training and collaboration between pediatric emergency healthcare professionals and pediatric palliative care specialists are necessary for optimal shared management.

Key words. End-of-life, children, palliative care, Emergency Department.

Ho conosciuto Luca circa undici anni fa, in occasione di uno dei miei primi turni di notte da strutturato in Pronto soccorso (PS) pediatrico, pochi mesi dopo essermi specializzato. È stato un incontro di pochi giorni e ormai è passato parecchio tempo, ma ricordo ancora vividamente quei momenti, cui sono ritornato con la mente molte volte in seguito. La storia di Luca ha fornito a me e a miei colleghi che l’hanno conosciuto molti spunti di riflessione sul rapporto con il fine-vita in età pediatrica e sull’importanza della collaborazione fra urgentisti e palliativisti con specifiche competenze pediatriche.

La storia di Luca

Luca è un bambino di 10 anni con encefalopatia ipossico-ischemia, grave compromissione psicomotoria, tetraparesi spastica, lieve anemia sideropenica, cardiopatia complessa e portatore di PEG. È in terapia con levetiracetam, baclofene, omeprazolo, macrogol, ferro e integratori polivitaminici; il suo compenso cardiaco abituale è buono e non richiede alcun supporto farmacologico. La famiglia possiede un saturimetro, che però non utilizza da tempo (e peraltro il bambino non ha mai avuto necessità di ossigeno-terapia a domicilio, tranne nei primi mesi di vita). Luca è in grado di mantenere la stazione seduta solo con sostegno. Non parla, ma è in grado di comunicare le proprie necessità, frustrazioni e soddisfazioni con una gamma di espressioni faciali che la madre sa interpretare con precisione. Luca non è un assiduo frequentatore del PS: nei primi anni di vita ha presentato numerosi episodi di broncospasmo e due di polmonite ab ingestis, ma negli ultimi 5 anni ha goduto di relativa buona salute, ha eseguito con regolarità i controlli presso la sua Pediatra di Famiglia ed è stato condotto in Ospedale solo per le visite periodiche in Neuropsichiatria Infantile, in Cardiologia e per il follow-up della nutrizione enterale domiciliare.

La sera in cui l’ho conosciuto, Luca si trova da poche ore in PS Pediatrico, dove è stato accompagnato dalla madre per dispnea e malessere ingravescenti in seguito a un episodio febbrile di flogosi delle alte vie aeree persistente da alcuni giorni. All’ingresso, si presenta in condizioni generali non soddisfacenti; è pallido, lievemente tachicardico e francamente tachidispnoico, con rientramenti intercostali e diaframmatici. Presenta febbricola. All’auscultazione toracica si apprezzano crepitii fini basali bilaterali, espirazione prolungata e rumori trasmessi dalle alte vie aeree. Ha un soffio sistolico, noto. La SatO2 è 90-91% in aria ambiente, con pronta risalita nel range di normalità in seguito alla somministrazione di ossigeno tramite cannule nasali. L’addome è trattabile; il fegato è palpabile a 2 cm dall’arco costale, la milza è all’arco. La PEG è in ordine. La faringe è iperemica, con abbondanti secrezioni biancastre in epifaringe e al cavo orale. Appare soporoso, responsivo allo stimolo doloroso, in un quadro di grave compromissione neurologica di base.

Oltre alla supplementazione d’ossigeno, all’ingresso in PS viene praticata l’aspirazione delle alte vie aeree e viene posizionato un catetere venoso periferico, attraverso il quale è somministrato betametasone; inoltre, viene praticato aerosol con broncodilatatore ogni 20 minuti per tre volte, con miglioramento della dispnea.

Agli esami ematochimici si riscontrano leucocitosi neutrofila e spiccato aumento della proteina C-reattiva, e si conferma l’anemia microcitica già nota. L’EGA capillare arterializzato è compatibile con un quadro di acidosi respiratoria; la funzionalità epatica e renale, la glicemia e i livelli elettrolitici plasmatici sono tutti nella norma, fatta eccezione per il riscontro di iponatremia.

La radiografia del torace mostra addensamenti polmonari bilaterali, compatibili con il reperto auscultatorio; l’ombra cardiaca è lievemente ingrandita, come noto. Viene somministrata una prima dose di ceftriaxone e.v., seguita da idratazione parenterale con soluzione glucosalina a velocità di mantenimento. Poiché quella notte non sono disponibili posti letto di ricovero, una volta stabilizzato, Luca viene trasferito in Osservazione Breve Intensiva (OBI) per proseguire il monitoraggio cardiorespiratorio, l’idratazione parenterale e la terapia.

Dopo alcune ore, l’infermiera dell’OBI mi chiama in seguito a un nuovo peggioramento della dispnea, con tendenza alla desaturazione in corso di ossigenoterapia; inoltre, segnala l’aumento delle secrezioni al cavo orale, che ora appaiono più schiumose e rosate. Il PS è pieno, sto visitando un altro bambino con dispnea, e riesco ad andare da Luca solo dopo alcuni minuti. Al mio arrivo, il bambino è sempre soporoso e appare nuovamente più dispnoico, con evidente impegno diaframmatico, intercostale e al giugulo. Rispetto all’ingresso in PS, all’auscultazione si apprezza un respiro più aspro, con crepitii diffusi e non più limitati alle basi polmonari. Una nuova radiografia del torace mostra un aumento delle aree di addensamento osservate in precedenza, con un’ombra cardiaca ulteriormente accentuata, e l’EGA capillare di controllo è in peggioramento. In seguito all’aspirazione delle secrezioni e alla somministrazione di furosemide, la dinamica respiratoria migliora lievemente e, sebbene Luca sia ancora in condizioni non soddisfacenti, il suo quadro clinico appare ora discretamente stabilizzato. Il cardiologo chiamato in consulenza esegue l’ecocardiogramma e conferma il sospetto di scompenso cardiaco in corso di riacutizzazione respiratoria; la funzione cardiaca appare molto compromessa.

La madre assiste a tutte le attività che si svolgono intorno a suo figlio e partecipa in silenzio alle manovre di aspirazione e alla mobilizzazione del bambino durante la visita, con gesti esperti. Ci lascia intervenire senza interferenze mentre stabilizziamo Luca, ma al termine delle manovre inizia a pormi una serie di domande incalzanti sulle condizioni di suo figlio. Le sue osservazioni sono puntuali, come ci si aspetta dalla madre di un bambino con una malattia cronica grave, che condiziona inevitabilmente tutta la vita familiare sin dai primi giorni della sua vita. Non è possibile fornirle risposte evasive; dalla sua espressione e dalle sue parole percepisco ansia e preoccupazione, forse non solo per le condizioni di suo figlio, ma anche per aver colto nei miei gesti la mia stessa preoccupazione e la paura che prova in sottofondo chi affronta le prime notti da medico di guardia in PS. Le chiedo allora: “Cosa la preoccupa di più in questo momento?”. Questa domanda diretta segna un punto di svolta, perché in quel momento la madre di Luca mi confida di temere che stavolta suo figlio possa morire. Soprattutto ha paura che muoia soffrendo. È pensiero che l’ha già attraversata in altre occasioni, ma questa volta lo percepisce come una possibilità più concreta. Tanto lei, quanto il marito, sono consapevoli che Luca probabilmente sarebbe morto prima di loro e dei suoi fratelli: ne hanno parlato fra loro e con l’équipe della Neuropsichiatria Infantile in occasione di un ricovero nei primissimi anni di vita, ma affrontare la possibilità concreta che ciò possa accadere a breve è un’altra cosa. Tuttavia, il fatto stesso di dare voce a questi pensieri pare tranquillizzarla un po’.

Le condizioni del bambino sono critiche ma stabili, e decidiamo insieme alla madre e al cardiologo di rimandare ulteriori decisioni a qualche ora dopo, il mattino seguente, in modo da consentire alla madre di riposare un po’ e al padre di poterla raggiungere. Il giorno seguente Luca viene ricoverato in Reparto; le sue condizioni generali sono compromesse e continua ad essere soporoso e dispnoico. È chiaro a tutti – infermieri, medici e genitori – che non è più possibile rimandare ulteriormente le decisioni da prendere: bisogna scegliere cosa fare e cosa non fare. Nell’équipe serpeggia un sentimento di disagio: ci sentiamo impreparati alla possibilità della morte, sia umanamente, sia dal punto di vista tecnico e assistenziale, perché nel nostro Reparto per fortuna non è un’evenienza frequente. Chiediamo così aiuto ai nostri colleghi del Servizio di Cure Palliative. Uno di loro arriva immediatamente in Reparto e, informato del quadro clinico grave, discute con l’équipe e con i genitori le opzioni possibili. Il suo intervento è decisivo; ci aiuta a comunicare ai genitori di Luca la gravità delle sue condizioni in modo delicato, ma chiaro, senza lasciar spazio a equivoci: l’evoluzione clinica cui stiamo assistendo si presenta come un evento terminale ed è necessario decidere quanto si voglia procedere nel supporto vitale. I genitori riflettono, pongono molte domande, parlano fra loro da soli, e alla fine ci comunicano di avere compreso che la morte del figlio è prossima, ma al tempo stesso di non desiderare per lui procedure invasive come l’intubazione, né un ricovero in Terapia Intensiva. Nuovamente emerge che la loro maggior preoccupazione è che Luca possa soffrire, e la rassicurazione che sarà fatto tutto il possibile perché ciò non accada pare tranquillizzarli. Le disposizioni vengono annotate in cartella clinica e firmate dai genitori e dai medici presenti al colloquio e viene deciso di iniziare poco dopo l’infusione di midazolam e morfina e.v.

Il sentimento prevalente nell’équipe è di condivisione delle scelte dei genitori e di compassione nei confronti del loro dolore e della dignità che mostrano durante tutta la permanenza in Ospedale. Tuttavia, la condivisione non è unanime: un membro dell’équipe manifesta apertamente il suo dissenso alle decisioni prese e nelle ore successive chiede nuovamente ai genitori se sono sicuri delle proprie scelte. La madre offre una risposta che, a distanza di anni, ricordo ancora chiaramente: “Siamo sicuri della nostra decisione, perché crediamo sia per il bene di Luca, ma per favore non chiedetecelo più: riparlarne ogni volta è una pena insopportabile”. Per me questa risposta ha rappresentato, e rappresenta tuttora, la sintesi di tutto l’amore, il dolore, la dignità e la richiesta di rispetto che possono provare i genitori di un bambino che sta morendo.

Quella sera e la mattina successiva, i fratelli di Luca, i nonni e le zie vengono a salutarlo, si stringono intorno a lui e ai suoi genitori per tutto il tempo necessario, facendo uno strappo alla regola degli orari di visita del Reparto. Anch’io sono riuscito ad andare a trovarlo poco prima di iniziare il turno di guardia in PS. Luca muore una domenica pomeriggio, circondato dalla sua famiglia.

Conclusioni

La storia di Luca ha fornito diversi spunti di riflessione a tutta l’equipe che l’ha accolto prima in PS, poi in OBI e infine in Reparto. In primo luogo la necessità di possedere delle competenze di base per affrontare il fine-vita dal punto di vista bioetico, assistenziale, clinico e tecnico, anche per gli operatori sanitari che non si occupano quotidianamente di cure palliative. Sapere quali scenari possono presentarsi, come porsi in relazione e comunicare con il bambino che sta morendo e la sua famiglia, come accompagnarli nel rispetto delle loro necessità fisiche e spirituali, e quali procedure intraprendere, in stretta collaborazione con i palliativisti, dovrebbero far parte del bagaglio di tutti i professionisti non solo perché ne migliorano la performance clinico-assistenziale, ma anche perché l’acquisizione di competenze contribuisce a ridurre il distress morale e i conflitti fra gli operatori stessi1,2.

In secondo luogo, la storia di Luca ha fatto emergere il ruolo fondamentale degli specialisti in Cure Palliative Pediatriche non solo nella gestione del bambino e della sua famiglia, ma anche nel supporto all’équipe medico-infermieristica. I bisogni di un bambino che sta morendo e della sua famiglia possono essere molto diversi da quelli di un adulto in fase terminale, e la collaborazione con un servizio specifico per l’età pediatrica è fondamentale per garantire la migliore assistenza possibile3,4.

Sebbene non quotidianamente, bambini come Luca, che necessitano di cure palliative o che sono giunti alla fine della propria vita dopo un lungo percorso di malattia, possono presentarsi in PS e richiedono preparazione e impegno da parte dei professionisti sanitari, sotto diversi punti di vista. La formazione e la collaborazione fra gli specialisti dell’emergenza-urgenza pediatrica e quelli in cure palliative pediatriche rappresentano la condizione necessaria per una gestione condivisa ottimale.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Côté AJ, Payot A, Gaucher N. Palliative care in the Pediatric Emergency Department: findings from a qualitative study. Ann Emerg Med 2019; 74: 481-90.

2. Quest T, Herr S, Lamba S, et al. Demonstrations of clinical initiatives to improve palliative care in the Emergency Department: a report from the IPAL-EM Initiative. Ann Emerg Med 2013; 61: 661-7.

3. Scarani R. Le cure palliative pediatriche nel mondo: analisi della letteratura. Riv Ital Cure Pall 2021; 23: 69-74.

4. Gaucher N, Humbert N, Gauvin F. What do we know about Pediatric Palliative Care patients consulting to the Pediatric Emergency Department? Pediatr Emer Care 2021; 37: e396-e400.