Elementi di specificità delle cure palliative pediatriche
e cosa possono insegnare alle cure palliative dell’adulto

FRANCA BENINI1, CARLO PERUSELLI2

1Centro Regionale Veneto di Terapia del dolore e Cure Palliative Pediatriche; Azienda - Università di Padova; 2Ex Presidente della Società Italiana di Cure Palliative

Pervenuto il 20 aprile 2022. Accettato il 28 aprile 2022

Riassunto. Le specifiche competenze ed esperienze organizzative delle cure palliative pediatriche (CPP) che si sono sviluppate in questi anni anche in Italia possono fornire un importante contributo allo sviluppo delle Reti di cure palliative (CP) dell’adulto. Le CPP si occupano di bambini in grande maggioranza affetti da patologie diverse dal cancro, con bisogni di cura ed assistenza che non si limitano a brevi periodi di vita ma che spesso si prolungano per molti mesi o anni di vita. Le CPP hanno la necessità, in molti casi, di utilizzare anche a domicilio tecnologie per il mantenimento di alcune funzioni vitali, per il monitoraggio a distanza di alcuni parametri e per la comunicazione con i familiari; per le CP dell’adulto, queste sono esperienze relativamente nuove, condizionate dalla pandemia da Covid-19. Le CPP sono sempre state caratterizzate da una grandissima attenzione agli aspetti non solo sanitari ma anche sociali dei percorsi assistenziali, per permettere al bambino malato di “crescere” e di vivere una “normalità” che diventa un obiettivo fondamentale per la sua qualità di vita. Il confronto costante fra i professionisti delle CPP e quelli delle CP dell’adulto, diversi per competenze ed organizzazione ma vicini per motivazioni ideali e obiettivi, li farà migliorare entrambi.

Parole chiave. Cure palliative pediatriche, organizzazione delle cure, aspetti sociali delle cure.

Elements of specificity of pediatric palliative care and what they can teach to the adult palliative care.

Summary. Also in Italy, specific skills, and organizational experiences of pediatric palliative care (PPC) could provide an important contribution to the development of adult palliative care networks. PPC assist children who are suffering, in great majority, from diseases other than cancer, with care and assistance needs that are not limited to short periods of life but that often extend for many months or years of life. PPC need, in many cases, to use technologies at home for the maintenance of some vital functions, for remote monitoring of some parameters and for communication with family members; for adult palliative care, these are relatively new experiences, conditioned by the Covid-19 pandemic. PPC have always been characterized by great attention to social aspects of care pathways, to allow sick children to “grow” and live a “normality” that becomes a fundamental objective for their quality of life. Comparison of experiences between PPC professionals and those of adult palliative care networks, different in skills and organization but close for ideal reasons and objectives, will make them both improve.

Key words. Pediatric palliative care, organization of care, social aspects of care.

La popolazione dei pazienti con bisogni di cure palliative pediatriche (CPP) ha caratteristiche cliniche e necessità assistenziali profondamente diverse da quelle degli adulti1,2. È stato stimato che l’85% dei bambini con bisogni di CPP è affetto da patologie diverse dal cancro, patologie estremamente eterogenee nella loro eziologia che talvolta è perfino sconosciuta: malattie neurologiche, muscolari, respiratorie, cardiologiche, metaboliche, cromosomiche, post-anossiche. Per quanto riguarda la popolazione adulta con bisogni di cure palliative (CP), la stima del rapporto fra pazienti non oncologici e oncologici è invece 60%/40%, anche se nella realtà, anche in Italia, i Servizi specialistici di CP dell’adulto assistono in proporzione un numero molto più elevato di pazienti affetti da cancro, spesso superiore all’80% ma talvolta anche con valori vicini al 100%. L’attenzione dei Servizi di CP dell’adulto si è finora troppo spesso concentrata su questi pazienti, lasciando in secondo piano il tentativo di dare una risposta ai bisogni dei malati affetti da patologie diverse dal cancro. Una risposta efficace a questi bisogni richiederà certamente una crescita delle competenze degli operatori ma anche significativi cambiamenti organizzativi; le competenze e le esperienze organizzative degli operatori delle CPP potranno dare in questo senso un importante contributo alle Reti di CP dell’adulto.

I progressi della medicina neonatale e pediatrica condizionano sempre di più, anche in bambini affetti da patologie inguaribili, una sopravvivenza prolungata con una buona qualità di vita. Questi bambini mantengono comunque, anche per molti anni, la loro condizione di pazienti con bisogni di CP. Le CPP hanno di conseguenza sviluppato la loro riflessione organizzativa e la loro operatività non riservandole soltanto a periodi di vita relativamente brevi e vicini alla morte ma prevedendo periodi lunghi o addirittura molto lunghi di cura e assistenza. Queste diverse necessità, anche organizzative, si riflettono nella ormai ben nota differenza fra le stime di prevalenza e incidenza dei bisogni di CP del bambino rispetto a quelle dell’adulto. L’OMS3 ha proposto una stima dell’incidenza di 20 bambini ogni 100.000 residenti con età inferiore ai 15 anni che ogni anno muoiono con questo tipo di bisogni. La prevalenza, stimata in uno studio inglese4 riferito al 2009-2010, di 32 casi ogni 10.000 bambini è già raddoppiata rispetto ad una precedente stima del 2007, è stata ricalcolata in un recentissimo studio sempre inglese5 in 66 casi ogni 10.000 bambini, con una previsione di possibile ulteriore incremento nei prossimi anni. A differenza delle CPP, che inevitabilmente, anche per le ragioni di natura epidemiologica prima citate, hanno avuto un ruolo di precursori per questi aspetti, soltanto negli ultimi anni le linee guida cliniche e organizzative delle CP dell’adulto hanno raccomandato con chiarezza l’importanza di garantire questo tipo di cure lungo tutto il decorso delle malattie cronico-degenerative evolutive, con la crescente consapevolezza che le persone che muoiono per questo tipo di patologie sono solo un sottogruppo di una popolazione ben più ampia di pazienti con bisogni di CP. Nell’ultima versione dell’Atlante dell’OMS-WHPCA6 sulle CP, per la prima volta vengono definite alcune stime della prevalenza della popolazione con bisogni di CP inserendo anche i cosiddetti “non decedents”, che per le due patologie di maggiore rilevanza, cancro e demenze, risultano essere in maggioranza rispetto ai “decedents”. Anche per questo aspetto, le esperienze delle CPP possono avere molto da insegnare alle CP dell’adulto, ad esempio per quanto riguarda la necessità di riservare le risposte assistenziali specialistiche al supporto di situazioni ad elevata complessità dei bisogni o durante momenti di particolare criticità o difficoltà, integrandosi fortemente con altri servizi non specializzati o non dedicati esclusivamente alle CP.

Un altro aspetto che ha da sempre caratterizzato, per scelta e per necessità, le CPP è quello del ricorso alle tecnologie della “digital health”, in modo particolare con l’utilizzo di apparecchiature per il mantenimento di alcune funzioni vitali, ad esempio per il supporto ventilatorio, ma anche per il monitoraggio a distanza di alcuni parametri e per la comunicazione a domicilio con i familiari. Per le CP dell’adulto, queste sono ancora esperienze relativamente nuove, condizionate certamente dalla pandemia da Covid-19. In un recente articolo che riporta alcuni dati del Progetto internazionale CovPall7, si è evidenziato che prima del Covid-19, solo il 21,6% dei servizi utilizzava strumenti di telehealth/video support/e-learning per la clinica di tutti i giorni; a causa del Covid-19, l’83,7% dei servizi ha affermato che durante la pandemia ha utilizzato strumenti di collegamento «virtuale» con malati e familiari.

Infine, le CPP sono sempre state caratterizzate da una grandissima attenzione agli aspetti non solo sanitari ma anche sociali dei percorsi assistenziali. Il mantenimento del “ruolo” a livello sociale di bambino e famiglia è infatti uno degli obiettivi prioritari delle CPP. Il confronto continuo fra i pari (sia esso a livello scolastico che nella rete amicale), la frequentazione dei luoghi vissuti dai coetanei nonché la possibilità di confrontarsi con le esperienze di vita e di incontro che le varie età propongono permettono al bambino malato di “crescere” e di vivere una “normalità” che diventa un obiettivo inderogabile per una vita di qualità, seppure nella malattia. Tutto questo vale anche per la famiglia intera del bambino malato (genitori, fratelli, ecc.) che, stimolata a riprendere il proprio ruolo e i propri obiettivi e relazioni, può essere in grado di superare le molteplici difficoltà (organizzative, economiche, di isolamento e di mancanza di progetti futuri) che in queste situazioni di inguaribilità hanno un peso drammatico nel generare nuovi problemi e nuovi bisogni: peso che si aggiunge a e amplifica quello già molto importante legato alla gestione della malattia stessa8. Tutto questo richiede una attenta programmazione e organizzazione di attività nonché una continua integrazione fra Servizi sanitari e sociali. Richiede inoltre una capillare e dinamica informazione/ formazione e talvolta una vera e propria abilitazione, nei diversi setting del contesto sociale e amicale: il tutto nell’ottica della qualità e sicurezza assistenziale ma, soprattutto, nell’ottica della qualità della vita del paziente e della sua famiglia.

L’attenzione all’importanza del contesto sociale ed economico per quanto riguarda la possibilità di accesso e di organizzazione dell’assistenza in CP dell’adulto è relativamente recente e certamente condizionata dalla crescente attenzione, come detto in precedenza, ai bisogni di malati con previsione di lunga sopravvivenza, come le persone con demenza. Le esperienze collegate alle cosiddette “compassionate communities”9 sono un esempio di grande interesse e di crescente importanza per quanto riguarda le CP dell’adulto, anche se ancora poco o nulla sviluppate nel nostro Paese.

Per concludere, le indubbie specificità cliniche e organizzative delle CPP, ormai definite con chiarezza a livello nazionale e internazionale, costituiscono un patrimonio di conoscenze, di competenze ed esperienze che possono essere di significativo insegnamento anche per coloro che operano nei Servizi specialistici di CP dell’adulto, e il confronto costante fra questi due “mondi” professionali, distinti ma inevitabilmente vicini per motivazioni ideali e per obiettivi, non potrà che farli migliorare entrambi.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Peruselli C, Manfredini L, Piccione T, e al. Il bisogno di cure palliative. Rivista Italiana di Cure Palliative 2019; 21: 67-74.

2. Benini F, Papadatou D, Bernada M, et al. International standards for pediatric palliative care: from IMPaCCT to GO-PPaCS. J Pain Symp Manag 2022; 63: e529-e543

3. WHPCA-WHO. Global Atlas of Palliative care at the end of life. www.who.int/nmh/Global_Atlas_of_Palliative_Care.pdf

4. Fraser LK, Miller M, Hain R, et al. Rising national prevalence of life-limiting conditions in children in England. Pediatrics 2012; 129: e923-9.

5. Fraser LK, Gibson-Smith D, Jarvis S, et al. Estimating the current and future prevalence of life-limiting conditions in children in England. Palliat Med 2021; 35: 1641-51.

6. WHPCA-WHO. Global Atlas of Palliative Care 2020. 2nd Edition. http://www.thewhpca.org/resources/global-atlas-on-end-of-life-care

7. Dunleavy L, Preston N, Bajwah S, et al. Necessity is the mother of invention: specialist palliative care service innovation and practice change in response to COVID-19. Results from a multinational survey (CovPall). Palliat Med 2021; 35: 1-16.

8. Lazzarin P, Schiavon B, Brugnaro L, Benini F. Parents spend an average of nine hours a day providing palliative care for children at home and need to maintain an average of five life-saving device. Acta Paediatr 2018; 107: 289-93.

9. Kellehear A. Compassionate communities: end-of-life care as everyone’s responsibility. QJM 2013; 106: 1071-5.