L’atteggiamento del professionista in cure palliative nella prassi della relazione di aiuto: lo sguardo interessato per il morente

ALESSANDRA ROCCASALVA, CRISTIANA GEROSA, MARTINA ORNAGHI, MATTEO BERETTA, MATTEO CATTANEO

UO Cure Palliative ASST Brianza

Pervenuto l’8 febbraio 2021. Accettato il 25 febbraio 2021.

Riassunto. “Come coltivare lo sguardo interessato per il morente”? La relazione di cura è caratterizzata da un interessamento verso la persona con fragilità. Attraverso il nostro interessarci all’ “altro”, dalla relazione che si co-costruisce assieme al paziente, possiamo scoprire percorsi di cura inaspettati. La fragilità non è un limite, ma una possibilità: l’efficacia dell’intervento assistenziale in Cure Palliative passa attraverso la dimensione narrativa della persona che assistiamo.

Parole chiave. Cure palliative, relazione, cura, fragilità.

The attitude of the health care professional in palliative care in the practice of the helping relationship: an interested gaze for the dying.

Summary. “How to cultivate the interested gaze for the dying”? The care relationship is characterized by an interest in the person with frailty. Through our interest in the “other”, precisely from the relationship that is co-built together with the patient, we can discover unexpected treatment paths. Fragility is not a limit, but a possibility: the effectiveness of the assistance intervention in Palliative Care passes through the narrative dimension of the person we assist.

Key words. Palliative care, relationship, care, frailty.

Durante le riunioni di équipe che svolgiamo ogni due settimane con l’obiettivo di elaborare gli aspetti emotivi che impattano nella vita di ciascun professionista della cura, scopriamo tutte le volte che, nonostante la fatica nell’accompagnare una persona al suo fine vita, abbiamo la possibilità di coltivare la capacità di ascolto attivo e l’atteggiamento della cura compassionevole, potendo così accrescere la nostra maturità personale e professionale.

La consapevolezza del proprio stile di fare relazione, del modo unico di co-costruire il campo relazionale, la consapevolezza delle personali difficoltà nel gestire la complessità delle relazioni, sono competenze auspicabili nella maturazione personale e professionale di chi si occupa di relazione di aiuto.

Partendo dalla citazione di Ervin Polster, medico psichiatra e psicoterapeuta della Gestalt: “l’esperienza della fascinazione aiuta ad evitare la banalizzazione che deriva da una tecnologia utilizzata in modo tanto competente quanto freddo e distaccato”1, il presente contributo si propone di approfondire alcuni aspetti dell’atteggiamento del professionista nella relazione di aiuto in cure palliative.

La relazione di cura è caratterizzata da un interessamento verso la persona con fragilità. In questo ambito desideriamo riflettere e soffermarci su ciò che fa da sfondo agli aspetti tecnici della cura. Non si intende avvalorare un concetto teorico sulla relazione, bensì spiegare il potenziale, in termini di efficacia, dell’atteggiamento interessato alla pratica della relazione di cura, sottolineandone il potere curativo per la persona, soprattutto ogni qualvolta le si offra la possibilità, anche nel suo fine vita, di esperire il vissuto dell’”essere interessante per l’altro”.

“Il fatto di interessarsi, di prendere interesse a qualche cosa come partecipazione diretta e attiva; sollecitudine, premura affettuosa nei riguardi di qualche persona; o l’adoperarsi a favore di qualcuno intervenendo in modo decisivo per agevolargli il raggiungimento di uno scopo, la realizzazione di un desiderio”2. Partendo da questa definizione di “interessamento”, vorremmo provare a sostenere che, proprio attraverso il nostro “interessarci” all’altro, possiamo scoprire percorsi diversi, inaspettati, nuovi. Questo accade quando siamo disposti a farci fascinare dalla relazione che si co-costruisce assieme al paziente, come si fa con un’opera d’arte.

Certamente è di fondamentale importanza aver chiari i confini, i ruoli e l’asimmetria che caratterizza la relazione di cura, ma ciò non toglie nulla allo straordinario potere che l’interesse suscita in tutte le persone che si stanno incontrando. L’atteggiamento di base nella relazione di cura passa certamente attraverso la maturità personale e il Saper essere, oltre che dipendere dagli aspetti tecnici: “Sapere” e “Saper fare”.

L’efficacia dell’intervento assistenziale in cure palliative deve passare dal far crescere in tutti i protagonisti della cura, un atteggiamento aperto e interessato verso il morente. La dimensione narrativa della persona che assistiamo diventa, dunque, un orizzonte di senso che si colloca nel punto di intersezione di una vita che sta volgendo al termine, in una costante dialettica tra il “già noto” e “l’ignoto”.

Diventa quindi essenziale che la malattia possa acquisire una dimensione “narrativa” che sia espressione coerente della vita biografica. Nel proprio percorso di fine vita, il malato viene messo in condizione di vivere in maniera dignitosa la propria morte solo quando percepisce l’atto conclusivo della propria vicenda umana non come qualcosa di “staccato dal resto”, ma come espressione coerente di una storia personale individuale, in cui traspaia il senso che ciascuno attribuisce a sé stesso e alla propria esistenza; e dove ci si possa riconoscere degni di interesse fino alla fine.

Se guardiamo alla fragilità non come limite, bensì come possibilità di co-creare una relazione soddisfacente dal punto di vista della crescita personale del professionista e del morente, è probabile che le risorse a cui attingere aumenteranno, e che l’interazione risulterà nutriente. Così si compenseranno parte delle fatiche legate alla prassi operativa di tutti i protagonisti della cura, che troveranno soddisfazione nel risultato del proprio lavoro.

Allora la domanda è: “Come coltivare lo sguardo interessato per il morente?

Occorre sviluppare la “presenza disponibile; lo stare accanto all’altro, sollevando ogni forma di pregiudizio e di giudizio che ci allontanano dal nostro “essere con l’altro”. Nel contatto relazionale occorre conoscere bene il proprio sentire, ascoltare i segnali che l’organismo ci manda quando incontriamo un’altra intenzionalità relazionale, individuare il bisogno o l’interesse in comune e agire per soddisfare tale tensione e intenzione. Si tratta di lasciarsi affascinare dai tanti pezzi di quel mosaico meraviglioso che rappresenta la vita di ciascun morente; tutto ciò dà senso e valore al nostro “fare” professionale.

Non è certo cosa semplice da fare, ma sicuramente si può cominciare dal proprio vissuto personale. Potremmo racchiudere tale proposta in un proponimento: “Interessiamoci per interessare”. Attraverso questo inter-essere, potremo crescere e, a nostra volta, aiutare l’altro a crescere fino alla fine. Ogni atto assistenziale deve poter sostenere l’intenzionalità relazionale del morente; senza questa accortezza, anche la premura più sincera potrebbe violare la dignità della persona che stiamo cercando di aiutare.

Ci auguriamo che la pratica della relazione di cura permetta lo sviluppo della cultura della relazione... e viceversa. La capacità di stare in contatto con la sofferenza del fine vita, e più ampiamente, con la fragilità, può accrescere il paradigma epistemologico contemporaneo della intersoggettività. Per reciprocità, la cultura antropologica e scientifica attuale potranno fornire interessanti contributi al miglioramento dei servizi alla persona.

Vorremmo concludere con una citazione di Eugenio Borgna, che in un suo recente articolo sul Corriere della Sera ha affermato: “… Il mistero della cura è contatto, comunità, destino, ascolto profondo dell’altro, che è paziente ma – soprattutto – essere umano che soffre. Non dovremmo mai dimenticare, lo ripeto senza fine, che senza analizzare cosa avviene in noi, nella nostra vita interiore, nulla sapremmo cogliere delle emozioni dei pazienti, e delle cose da dire loro”3.

“Assistere” è, per un professionista delle cure palliative, “conoscersi e crescere”.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza del conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Poster E. Ogni vita merita un romanzo. Roma: Astrolabio, 1988.

3. Borgna E. Il fiume della vita. Una storia interiore. Milano: Feltrinelli, 2020.

Letture consigliate

– Cavaleri P. La profondità della superficie. Milano: Franco Angeli, 2003.

– Cavaleri P. Vivere con l’altro, per una cultura della relazione. Roma: Città Nuova, 2007.

– Perls F, Hefferline R, Goodman P. Teorie e Pratica della Terapia della Gestalt. Roma, Astrolabio, 1997.

– Spagnuolo Lobb M, a cura di. Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica. Milano: Franco Angeli, 2001.