Alcune riflessioni sulla spiritualità in cure palliative


È da tempo che rifletto sul tema della spiritualità in cure palliative e in questi anni ho letto e discusso spesso su questo argomento. Il problema è che più il tempo passa e più mi sento lontano da alcune posizioni all’interno della SICP.

Pienamente consapevole delle mie limitate conoscenze e capacità filosofiche – e ancor più religiose – sento che il mio punto di vista, in qualità di operatore in cure palliative da ormai vent’anni, possa comunque essere stimolo per nuove riflessioni, tese ad ampliare il dibattito in seno alla Società.

Provo a riassumere i miei dubbi evocati, ad esempio, dalla lettura del “Core Curriculum per l’assistenza spirituale in cure palliative”.

Spiritualità: all’interno dei principali documenti relativi a questo argomento, viene chiaramente detto che l’assistenza spirituale è rivolta anche alle persone atee o agnostiche. Io penso che il termine “ateo” sia così ampio da non essere facilmente definibile, certo è che la parola “spirito” o “anima” e in una qualche misura “trascendente” potrebbe essere percepita, da chi non crede in alcuna dimensione altra, una parola vuota o peggio mistificante. Se vogliamo usare un termine che comprenda anche gli atei, consiglierei la parola “esistenziale” o, se vogliamo utilizzare un quasi-neologismo, “esistenzialità”.

Esistenzialità, chi se ne occupa? Nei molteplici congressi SICP la figura dell’assistente spirituale si fa emergente (mutuata dal mondo anglosassone) ma serve una professione specifica? È chiaro che a vari livelli, tutti i componenti dell’équipe partecipano a supportare malato e familiari ad affrontare questioni esistenziali. E i vari livelli, a mio parere, non sono dettati dalla preparazione specifica dell’operatore su codesti temi ma dal fatto che l’assistito “sceglie” la persona più adatta per parlare o condividere emotivamente questi argomenti. Ed è per questo motivo che viene evidenziato, anche nel Core Curriculum, l’importanza della trasversalità delle conoscenze sulle questioni esistenziali/spirituali all’interno dell’équipe. Ma sicuramente è importante che vi sia, all’interno del gruppo, una figura specifica di riferimento. Questa figura esiste già nell’équipe e deve – necessariamente – avere una “competenza esistenziale”: lo psicologo. I vari filosofi, letterati, a vario titolo studiosi, intensi pensatori, mistici, guru, eccetera, possono essere impiegati negli eventi formativi volti ad approfondire e migliorare l’approccio agli aspetti esistenziali di tutti gli operatori.

Varie annotazioni sui termini usati: per un ateo i termini “orizzontale-verticale” sono solo aggettivi geo­grafico-spaziali e quindi privi di maggiore o minore valore in sé, come tali sono elementi relativi al punto di osservazione. Ancor più il termine “trascendenza” può risultare privo di qualsiasi significato, non essendovi nulla da cui trascendere. Per un ateo il “bisogno o domanda spirituale” può non essere un bisogno ma solo un possibile dato di fatto ovvero intrinsecamente privo di risposte, e non essendoci risposte non ci può essere “cura” ma solo condivisione, “simpatia esistenziale” che può lenire la sofferenza solo perché condivisa.

Comunque, a Voi riconoscente

Marcello Ortale