Le sfide che le cure palliative e la SICP hanno di fronte

LUCIANO ORSI

Medico palliativista, Vicepresidente SICP.

Pervenuto il 9 febbraio 2019.

Riassunto. Vengono qui brevemente descritte le principali sfide che le cure palliative (CP) e la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) hanno di fronte in questo momento storico con l’obiettivo di delineare uno scenario realistico per l’immediato futuro. L’editoriale non ha come scopo di individuare soluzioni definite o definitive alle varie sfide elencate, bensì si propone di avviare una riflessione comune sulle strategie e sulle risorse disponibili per vincerle. Affrontare e vincere le sfide è connaturato con la storia delle CP e con l’operatività quotidiana dei professionisti palliativisti. Questo prezioso spirito originario va conservato ma occorre coniugarlo con un allargamento delle prospettive e con una flessibilità concettuale perché in epoche di forti cambiamenti è spesso necessario adottare paradigmi concettuali innovativi.

La prima sfida è rappresentata dall’estensione delle CP alle fasi precoci di malattia (early/simultaneous palliative care) e alle patologie non oncologiche; sfida, poiché questa estensione presuppone un inevitabile cambio del modello organizzativo rispetto a quello originario e storicamente collaudato. Infatti, il modello “cure palliative di fine vita del solo malato oncologico” non è idoneo per i suddetti percorsi di cura. Però quale equilibrio vada impostato all’interno delle Reti locali e regionali di CP fra approccio palliativo, cure palliative di base, condivise e specialistiche non è ancora definito.

Le seconda sfida risiede nel contrastare la lentezza di penetrazione della filosofia delle CP nella medicina tradizionale, nelle istituzioni correlate e in ampi settori della società, lentezza causata dalle resistenze offerte dalla tradizionale visione riduzionista della malattia. I profondi segni di crisi di tale visione tradizionale sono però la premessa per una apertura ad una visione olistica come è quella incarnata dalle CP, anche perché non vi sono all’orizzonte modelli alternativi di uguale efficacia.

La terza sfida è insita nel processo in atto da parte dell’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC) di ridefinire le CP in un’ottica ancora più mondiale per favorirne un’implementazione il più estensiva possibile. I rischi paventati dalla nuova proposta di definizione sono un livellamento delle CP ad un livello troppo basso e la svalutazione di modelli più evoluti e complessi come quelli europei o nord-americani.

La quarta sfida fa riferimento alla coesistenza di erogatori di CP di tipo pubblico e privato, profit e non profit che, da coesistenza storica abbastanza pacifica, rischia di trasformarsi sempre più in competizione sullo stesso territorio. La partecipazione attiva dei professionisti palliativisti alla progettazione dei modelli organizzativi insieme ai programmatori locali e regionali è probabilmente l’unica strategia da perseguire per assicurare un’erogazione di CP equa e modulata sui bisogni del malato e dei suoi familiari.

La quinta e la sesta sfida sono correlate all’attuale carenza di medici palliativisti e all’assenza di una specialità o di un indirizzo in CP nelle specialità previste dalla Legge 38/2010. È evidente come questi due fenomeni siano correlati e che, se si vuole sostenere lo sviluppo delle Reti locali di CP, occorra agire sia nel favorire il reclutamento di coloro che hanno giù maturato una solida esperienza sul campo sia, soprattutto, sbloccare a livello universitario l’istituzione della specialità o degli indirizzi specialistici in CP.

Anche la settima sfida è associabile alla formazione e riguarda tutte le rimanenti figure professionali dell’équipe specialistica in CP. Superata l’epoca pionieristica, è necessario ora presidiare la formazione e il reclutamento di ogni professionista sanitario, sfatando l’ingenua credenza nella totipotenza professionale e nella naturale conversione delle competenze.

L’ottava sfida è sostenere nella quotidianità l’implementazione della Legge 219/17, favorendo una rigorosa pratica di consenso informato, di pianificazione condivisa delle cure e di sostegno alla compilazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento.

L’ultima sfida, non certo in ordine di importanza, è l’avvio della discussione alla Camera dei Deputati di un progetto di legge sull’eutanasia e sul suicidio medicalmente assistito. La sfida risiede nel tenere in equilibrio la tradizionale posizione di estraneità delle CP a tali procedure di induzione della morte con un atteggiamento di dovuta attenzione al mutamento del quadro normativo e al dibattito etico in atto a livello internazionale.

Parole chiave. Cure palliative, consenso informato, pianificazione condivisa delle cure, Disposizioni Anticipate di Trattamento, eutanasia, suicidio medicalmente assistito, leggi.

The challenges the palliative care and SICP are facing.

Summary. Here are briefly described the main challenges that palliative care (PC) and the Italian Society of Palliative Care (SICP) are facing at this time in history with the aim of outlining a realistic scenario for the next future. The editorial don’t intend to identify sharp or final solutions to the various challenges listed below, but, rather, proposes to start a common reflection on the strategies and resources available to win them. Tackling and overcoming challenges is inherent in the history of PC and in daily activity of PC’s professionals. This precious original spirit must be preserved but must be combined with an enlargement of perspectives and with a conceptual flexibility because in times of strong changes it is often necessary to adopt innovative conceptual paradigms

The first challenge is represented by the expansion of PC to early or simultaneous palliative care and to non oncological disease. This extension implies an unavoidable change in organisational setup compared to original and historically tested one. Indeed, the “oncological end-of-life PC model” is not suitable for early or simultaneous or non oncological PC. However, what balance should be set within the Local and Regional Networks of CP between palliative approach, basic, shared and specialized palliative care is not yet defined.

The second challenge lies in the slow penetration of the philosophy of PC inside traditional medicine, in related istitutions and in large sectors of the society due to resistance offered by the traditional reductionist concept of the disease. The profound signs of crisis in this traditional vision, however, are the premise for an opening to a holistic vision like that embodied by the PC, also because there are no alternative models on the horizon of equal effectiveness.

The third challenge concerns the International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC) process to draft a new PC’s definition from a more international point of view to increase PC’s implementation in a wider way. However, the proposed new definition can endanger more complex and advance PC’s model, such as european and nord-america models, proposing low level PC’s models suited for poor income countries.

The fourth challenge is referred to coexistence of public and private, profit or not for profit PC’s providers. This hystorical and relatively peaciful coexistence, now is often transforming in a competition on local district. PC’s professionals must take part to planning of the organizational models together with local and regional official planners. This partnership is probably the only strategy to safeguard PC’s programs able to respond fairly to patient’s and family’s needs.

The fifth and sixth challenges are related to the current shortage of PC’s physicians and to lack of specialty or sub-specialty in palliative care provided for by Law 38/2010. It’s should be self-evident that these two problems are strictly connected and that, if the development of PC’s Local Network has to be sustained, it’s necessary to act both in fostering the recruitment of physicians who have gained years of a solid experience in the field and, above all, unlocking the institution of a specialty or sub-specialty in palliative care in the university.

The seventh challenge is also linked to education and training, and concerns all the reamainig professionals members of PC’s team. The pioneering days are behind us, so it’s now necessary to control the education and the recruitment of every health care professional who join the PC’s team, dispelling naive beliefs in “professional totipotence” and in “natural conversion” of professional skills.

The eigth challenge consists in supporting daily implementation of the Law 219/2017, encouraging a strict practice of informed consent, advance care planning and fostering the drawing up of advance directives.

Last but certainly not least challenge is the start of discussion inside the italian Chamber of Deputies of a bill on euthanasia and medically-assisted suicide. The challenge lies in balancing the traditional position of non-involvement of the PC with these procedures of induction of death with due attention to changes in the regulatory framework and to the ethical debate taking place at international level.

Key words. Palliative care, informed consent, advance care planning, advance directive, euthanasia, physician-assisted sucide, public law.

Introduzione

Questo editoriale, che inaugura il 2019, è anche il primo che esce con i tipi de Il Pensiero Scientifico Editore, il nuovo prestigioso editore di tutta la Comunicazione della Società italiana di cure palliative (SICP). Scorrere a video questo numero della Rivista italiana di cure palliative (Ricp) o poterlo sfogliare, con nostalgico piacere, nell’edizione cartacea sancisce il superamento della sfida che il cambio di editore aveva in sé per la complessità che ha ormai raggiunto la Comunicazione SICP. Infatti, tutta la linea editoriale, che include oltre la Ricp anche la Newsletter, il sito e la pagina Facebook, è stata rinnovata sia nella veste grafica sia nell’impostazione logica dei contenuti.

Se questa sfida si può dire complessivamente vinta, altre sfide permangono e altre ancora si aggiungono popolando un orizzonte che a tratti assume aspetti un po’ inquietanti. Non è certamente un editoriale il luogo e il mezzo per analizzare in profondità tali sfide, né per fare un attento bilancio fra risorse disponibili e ostacoli al fine di superare questi ultimi. Ciononostante, è importante condurre una ricognizione di massima delle sfide che si parano innanzi al cammino delle cure palliative (CP) per avviare una seria riflessione sulle strategie e sui mezzi disponibili da adottare per affrontarle e vincerle. Sottolineo volutamente il carattere dinamico del futuro delle CP che non possono sottrarsi ad un destino di espansione evolutiva (non possiamo fermare il nostro cammino, pena il rischio di retrocedere fino a scomparire), così come voglio evidenziare la necessità di vincere le sfide, perché sfidante era la spinta propulsiva originaria delle CP al loro esordio storico e sfidanti rimangono la dimensione emotiva dei suoi professionisti e l’apparato concettuale che fonda la loro attività quotidiana. Fatte queste doverose premesse, lo spirito di questo editoriale non è quello di indicare soluzioni definite o definitive ai problemi che verranno elencati, bensì di offrire una riflessione sullo spirito con cui possono essere affrontate tali sfide e suggerire un’ottica spregiudicata da cui guardarle. Infatti, di fronte alla complessità delle sfide e alla congiuntura storica in cui esse si pongono, è necessario adottare consapevolmente un punto di vista libero da pregiudizi e da ossificazioni storiche che impoveriscono il ragionamento analitico1.

Estensione delle cure palliative alle fasi più precoci di malattia e alle patologie non oncologiche

La transizione demografica ed epidemiologica porta le CP in questa direzione, come chiaramente indicato da una crescente letteratura scientifica2-5. Ma l’espansione dei bisogni di CP comporta un’inevitabile revisione dei modelli organizzativi con cui esse vengono e, soprattutto verranno, erogate, poiché l’originario modello organizzativo con cui sono nate (gestione dei malati oncologici in fine vita con contestuale sospensione delle cure antitumorali) non è più idoneo allo scopo. Si impone, pertanto, una riflessione su quali modelli organizzativi sia opportuno adottare nelle Reti locali e regionali di CP, soprattutto in relazione all’equilibrio da impostare fra approccio palliativo, CP di base e specialistiche dentro una realtà di bisogni ben delineata da Currow et al.6. Questo è un passaggio che si sta cominciando a fare da più parti e su cui la SICP ha istituito, insieme alla Federazione Cure Palliative, un Gruppo di lavoro che, dopo aver prodotto il documento sui bisogni di cure palliative presente in questo numero della rivista (pag. 67 e sul sito www.ricp.it), sta approfondendo i temi della misura della complessità di tali bisogni e dei modelli organizzativi che possono rispondere ad essi. È però fondamentale sottolineare che questo passaggio è in buona sostanza un viaggio in terra incognita ove, oltre alle indicazioni normative (Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2012 e atti successivi), occorrerà tener conto delle esperienze internazionali ed evitare che vengano adottati modelli organizzativi troppo condizionati da fattori logistico-geografici e culturali che fanno riferimento a tradizioni formative e a pratiche sanitarie molto connotate. Va soprattutto evitato il rischio che tali modelli, in particolare canadesi o australiani (che privilegiano notevolmente le primary care o approccio palliativo rispetto alle cure palliative specialistiche), siano adottati dai programmatori sanitari regionali o locali in un’apparente ottica di risparmio economico o in ossequio a miopi logiche sindacal-professionali. Questo a discapito della qualità delle risposte ai reali bisogni di malati e familiari.

Diffusione della “filosofia” fondante le cure palliative

Non pochi settori della medicina, delle istituzioni e della società sono ancora da fecondare con la “filosofia” vincente che ha fondato e fonda le CP. Questo può apparire sorprendente e al contempo sconfortante se si considera il non breve lasso di tempo trascorso dalla nascita delle CP ad oggi. In realtà, non vanno sottovalutate la grande portata di tale “filosofia” di cura (centrata sulla visione olistica della persona e dei suoi bisogni) e le tante resistenze che inevitabilmente innesca nell’opposta visione tradizionale della medicina (ispirata ad un riduzionismo della malattia vista nella sola dimensione biologica e scotomizzando quella biografica). Questo apprezzamento della portata storica del movimento Hospice mitiga la sorpresa e lo sconforto, soprattutto se si prendono in seria considerazione i vistosi segni di crisi che incrinano le prassi della medicina tradizionale, il funzionamento di varie istituzioni ad esse correlata oltre che di tanti segmenti della società, come ad esempio la disfunzionalità di varie dinamiche familiari nella terminalità o il comportamento ondivago e impacciato dei mass media sui temi del limite, della malattia e della morte.

Sono, infatti, convinto che queste profonde fratture permetteranno allo spirito delle CP di penetrare in tali settori che, peraltro, hanno un profondo bisogno (spesso poco consapevole) di rinnovamento, non avendo peraltro a disposizione altri paradigmi alternativi e altrettanto efficaci come il nostro, cui rivolgersi.

Una nuova definizione internazionale di cure palliative

È ancora poco nota un’iniziativa dell’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC) che ha recentemente annunciato la presentazione di una nuova definizione generale di CP, basata su un processo di consenso di esperti (https://hospicecare.com/what-we-do/projects/consensus-based-definition-of-palliative-care/7). L’obiettivo della formulazione di una nuova definizione di CP è promuovere la loro implementazione a livello mondiale superando gli ostacoli legati ad una mancanza di consenso circa il “quando, il come e da chi” devono essere offerte. Questo progetto prese le mosse dal rapporto “Alleviating the Access Abyss in Palliative Care and Pain Relief. An Imperative of Universal Health Coverage” stilato nel 2017 dalla Lancet Commission on Global Access to Palliative Care and Pain Relief8. La Lancet Commission formulò una nuova e più ampia concezione di CP rispetto alle storiche definizioni di CP dell’Organizzazione Mondiale delle Sanità (OMS) raccomandando all’OMS la revisione della definizione. La IAHPC, in accordo con l’OMS, ha realizzato un progetto di costruzione per consenso progressivo di una definizione focalizzata sul sollievo dalle sofferenze di tutti i malati che ne necessitino, indipendentemente dalla diagnosi, prognosi, localizzazione geografica e reddito. La nuova definizione, la cui costruzione non ha peraltro coinvolto la European Association for Palliative Care (EAPC), sta incontrando critiche da varie parti perché sarebbe troppo influenzata da una visione terzomondista delle CP che rischia di mettere in ombra modelli di CP più consolidati (e funzionanti in termini di efficacia) come quelli praticati nel primo mondo.

Curiosamente, ma non troppo, su questa tematica definitoria si ripropone la stessa questione presa in considerazione al punto 1: come equilibrare concezioni e modelli organizzativi di erogazione delle CP nati e sviluppatisi in contesti economici, culturali e storici molto diversi fra loro.

Avere ben presente da dove viene una concezione o un modello e verso quali bisogni si rivolge è probabilmente il corretto atteggiamento da tenere per non svalorizzare modelli più evoluti che devono rimanere l’obiettivo di fondo per lo sviluppo di tutte le CP, in qualsiasi latitudine e in qualunque tempo storico esse siano progettate e attuate; pena un malaugurato livellamento verso il basso con adozione di concezioni e modelli minimalistici, perché a basso costo, che non possono certamente essere in grado di coprire i reali bisogni dei malati e dei loro familiari.

Coesistenza di erogatori di cure palliative con varia tipologia

Questa coesistenza è inevitabile sia per ragioni storiche (molte CP sono nate a livello locale per la meritoria azione di soggetti erogatori non pubblici che proseguono tale attività, spesso con un trend incrementale), sia per l’attuale tendenza economico-politica di favorire la coesistenza e/o la competizione pubblico-privato in sanità. Al di là di questi elementi di cornice storica e sociopolitica, il cuore del problema risiede nel governo organizzativo di questa coesistenza e nella misura delle effettive risposte fornite ai bisogni locali e regionali di CP. Quello che è incontrovertibile è il ruolo attivo che le CP devono assumere con decisione nel proporre al programmatore sanitario locale e regionale modelli organizzativi efficaci e non solo efficienti o convenienti per il singolo erogatore. Laddove possibile, i professionisti palliativisti devono assumere un ruolo di co-progettazione insieme ai programmatori sanitari rispetto ai sistemi di erogazione e agli standard di efficacia. Se i palliativisti rinunciano a tale ruolo di proposizione e co-progettazione a livello delle Reti locali e regionali di CP rischiano di dover accettare modelli che ignorano o sottovalutano i bisogni del malato per privilegiare logiche organizzative burocratiche o meramente economiche.

Carenza di medici palliativisti

Questa è una delle maggiori criticità perché ostacola grandemente la diffusione delle CP e la crescita delle Reti locali. Risulta sufficientemente chiaro che l’unica strategia in grado di affrontare e risolvere questo problema è la creazione di una specialità in CP o, in sub-ordine, di sub-specialty nelle specializzazioni contemplate dalla legge 38/10. I provvedimenti temporanei come la pregressa certificazione dell’esperienza triennale (legge di stabilità 2014 n. 147 del 27/12/2013) o quello contenuto nella legge di Bilancio di quest’anno (n. 145 del 30 dicembre 2018), seppur per molti versi doverosi e opportuni, possono solo tamponare temporaneamente il problema e, se ripetuti nel tempo, rischiano di svilire la Disciplina in CP.

Lo sbocco universitario della Disciplina in cure palliative

Aver ottenuto il riconoscimento statutario della Disciplina è stata una svolta fondamentale delle CP italiane, ma il suo logico completamento è dato dalla creazione di uno specifico settore scientifico-disciplinare a livello universitario che consenta l’istituzione di una specialità o, in via subordinata, di una sub-specialty (indirizzo di CP) nell’ambito delle specialità identificate dalla legge 38/10. Questo non è finora avvenuto per le indubbie resistenze del mondo universitario nel suo complesso alle richieste in tal senso che la SICP ha costantemente avanzato in questi anni. La strada per raggiungere la specialità o gli indirizzi specialistici in CP sarà lunga e in salita ma non c’è alternativa: essa va percorsa con decisione con il contributo di tutti quelli che a vario titolo possono agevolarne il cammino.

Formazione e selezione degli altri professionisti dell’équipe di cure palliative

Il problema della formazione e della selezione non riguarda solo i medici: anche gli altri professionisti operanti nelle équipe di CP, pur non avendo il vincolo della specializzazione che incombe sui medici che operano nel settore pubblico, hanno il problema di acquisire una formazione specifica in CP e superare una selezione al momento in cui aspirano ad entrare in un servizio o ente erogatore di tali cure.

Finora a questo problema non è stata dedicata molta attenzione, probabilmente confidando in un costume storico di autoformazione del singolo professionista che ha cercato, per scrupolo personale, di costruirsi un percorso formativo scegliendo fra una ricca offerta di corsi qualificati. Questo approccio storico era, forse un po’ ingenuamente, supportato dall’idea di una “totipotenza” di vari profili professionali (ad es. quello dell’infermiere, dello psicologo, del fisioterapista, dell’OSS, ecc.) che consentiva loro di adattarsi “naturalmente e spontaneamente” alla peculiare attività delle CP. Ma anche presupponendo, in modo forse troppo ottimistico, che questo sia stato sufficiente nel passato, ove la nascita e la crescita di servizi ed erogatori di CP erano lente e consentivano una selezione dei candidati i base alle motivazioni e alle competenze, oggi bisogna riconoscere che il quadro è mutato in modo radicale.

Infatti, la crescita dell’offerta di posti di lavoro nelle CP, l’urgenza di reclutare personale per ottemperare a obiettivi di crescita dell’attività erogativa, la diffusione di corsi di formazione di discutibile qualità e le crescenti limitazioni di budget dedicato alla formazione dell’équipe, finiscono per generare il reale rischio di reclutare sanitari in modo poco attento alla qualità delle loro motivazioni, allo spessore delle loro competenze specifiche e alla loro disponibilità ad impegnarsi nell’acquisire quelle mancanti. È facilmente intuibile quanto questo andamento sia pericoloso per la costruzione di équipe motivate e competenti e che, pertanto, occorra porvi urgente rimedio al fine di scongiurare il pericolo che ad implementare lo sviluppo delle unità di CP e degli Hospice siano semplici disposizioni del SITRA (o di analoghi organismi) che dall’oggi al domani trasferiscono personale o striminziti bandi privi di significativi requisiti nelle competenze.

Implementazione della Legge 219/2017

Ecco un’altra grande sfida che quotidianamente si para innanzi ai palliativisti che, per la loro “filosofia” operativa, sono fra le figure professionali più vicine alla pratica di un consenso informato più autenticamente perseguito, alla costruzione di una pianificazione condivisa delle cure e al supporto nella stesura delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), come prescritto dalla Legge 219/20179.

L’estensione alle early/simultaneous palliative care e all’ambito delle malattie non oncologiche rappresenta il terreno ideale per implementare tali prassi di informazione, consensualità e pianificazione anticipata/condivisa che siano sintoniche con lo spirito della legge 219/17.

Occorre però sottolineare che questa auspicata e doverosa aderenza alla suddetta legge non deve essere motivata da una mera preoccupazione ispirata alla medicina difensiva ma, al contrario, dal rispetto degli stessi principi ispiratori delle cure palliative che, soprattutto se applicati in percorsi più lunghi e più ampi rispetto alle originarie cure di fine vita del malato oncologico, presuppongono di mettere in pratica i dettami della legge 219/17.

Attività parlamentare in tema di eutanasia e suicidio medicalmente assistito

Come è noto, a fine gennaio 2019 si è avviata la discussione di progetti di legge sul suicidio medicalmente assistito (SMA) e sull’eutanasia nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera dei deputati.

Questo fatto ripropone l’antico e controverso tema del rapporto fra CP e pratiche che mirano ad indurre la morte del malato che ne faccia esplicita e ripetuta richiesta.

Se da un lato è di tutta evidenza l’estraneità delle CP rispetto a tali pratiche, come costantemente ripetuto nelle varie definizioni di CP che si sono storicamente succedute a partire dalla prima10, dall’altro non è possibile limitarsi a rimuovere il tema, vista l’evoluzione del dibattito etico e del quadro giuridico a livello internazionale. Anche perché occorre riflettere sulla lenta crescita del numero di malati che, anche nel corso di una presa in carico palliativa, manifestano queste richieste oramai non più aneddotiche.

Sarà quindi necessario proseguire un’opera di costante chiarimento al pubblico generale, ai mass-media e nel mondo sanitario sui temi della radicale differenza fra CP (aiuto nel morire) ed eutanasia/SMA (aiuto a morire) e dell’assoluta non assimilabilità della sedazione palliativa con le suddette pratiche di induzione della morte.

D’altro canto, bisognerà continuare a studiare il problema poiché la letteratura, e quanto avviene al di là delle Alpi, evidenzia da tempo che anche il miglior sistema di CP, seppure efficace nel ridurre grandemente le richieste di eutanasia e di SMA, non è però in grado di annullarle11. Pertanto, un atteggiamento di attenzione alle ricerche internazionali e di riflessione, personale e collettiva, è forse quello che potrebbe consentire alle CP di mantenere una propria identità senza perdere il contatto con una realtà sociale che sta cambiando12.

Conflitti di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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